Le esperienze dirette: due operatori del soccorso raccontano la propria esperienza emotiva - Conosco Imparo Prevengo

PSICOLOGIA DELLE EMERGENZE, PROTEZIONE CIVILE, SICUREZZA, TERRITORIO
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Le esperienze dirette: due operatori del soccorso raccontano la propria esperienza emotiva

Archivio > Aprile 2007 > Psicologia delle emergenze

C.I.P. n. 1 - PSICOLOGIA DELLE EMERGENZE

Le esperienze dirette
Due operatori del soccorso raccontano la propria esperienza emotiva


Quello che non si e’ visto
Michele Genova

(Architetto, coordinatore dei soccorritori dei Vigili del Fuoco)


Sono il funzionario di servizio che ha coordinato le prime tre squadre VVF che sono intervenute in soccorso nell’incidente della metro.
Dopo tre minuti dalla chiamata eravamo già in banchina, increduli, a lavorare.
Come al solito eravamo noi soli, quelli che soccorrono e quelli bisognosi di soccorso.
Abbiamo lavorato in fretta perché sappiamo che chi ha bisogno di aiuto non ha tempo e che quando succedono "certe cose", presto arriveranno in tanti e non avremmo più tempo di portare "bene" il nostro soccorso.
Gli altri per prima cosa vogliono sapere.
Anche quando si parla del mio lavoro la prima cosa che chiedono è: "chissà cosa avete visto?… Cosa avete provato quel giorno?"
A questa domanda riaffiorano sempre immagini rimaste immerse dentro.
Odori, sensazioni, sentimenti che non sempre si ha piacere di far riaffiorare.
Come descriver loro il gusto di un cibo che non hanno assaggiato, un colore di un quadro che non hanno mai visto, un dolore che non è nella loro carne..
Abbiamo percorso, affrettandoci con prudenza, i lunghi corridoi della stazione di piazza Vittorio e abbiamo visto quello che i passeggeri, uscendo di corsa non hanno visto.
Sentimenti e preoccupazioni non dette mentre scendevamo i gradini della stazione cercando se sotto ci fosse veramente il "drago e le sue fiamme".
Concentrazione, per applicare le procedure sperimentate durante le esercitazioni.
Impegno, per organizzare da sotto terra la cura delle persone e il trasporto dei materiali per l’intervento.
Quel silenzio in banchina fatto solo di respiri affannati e mormorii sofferenti.
Abbiamo trovato subito quel vagone, richiamati da quegli occhi che aspettavano di vederci.
Abbiamo lavorato con attenzione e umanità per districare due donne da un abbraccio mortale che ha rapito l’una per lasciare l’altra.
Abbiamo sentito la pesantezza della fatica e visto il destino spudorato
In pochi minuti, in pochi uomini, quello che dovevamo lo abbiamo fatto e tutto questo non si è visto.
Un’immersione in un mare profondo, dove tutto, colori, immagini, emozioni, rimangono attutite; è durato un attimo interminabile.
Subiti dopo gli altri. Una esplosione di frastuono. Divise di tutti i colori in un carosello di curiosità e agitazione.
Richieste, domande, coordinamenti, dichiarazioni e polemiche ma tutto questo è ciò che si è visto.
Come anche si è vista la spietata intervista all’attore offeso, la foto scattata con il telefonino alla dignità del dolore, le riprese rubate per la prima serata.
Appena in superficie la domanda al telefono:" sei sceso anche tu?…lo sapevo, stai bene? Quando torni stasera?"
Questo è quello che non si è visto in tivù, di cui non si parla.
Di uomini che sono scesi, sono accorsi come una sola persona e continuano a farlo come non si vede e non si vedrà.
Questo quando si può raccontare ciò che in pochi hanno visto.
Ma se il drago ci fosse stato? Le sue fiamme in galleria e non in stazione, la sua coda spietata e il disastro di sopra….Quanti di quelli che parlano direbbero ancora "era mia la spada che ha trafitto".
Devi scendere per poter dire:"era mio lo sguardo che ha visto gli occhi del drago".


Gli psicologi dell’emergenza - "quel rosso permissivo"
Isabella Cinquegrana

(Psicologa – Psicoterapeuta – Esperto in Psicologia dell’Emergenza – Consigliere Società Italiana Psicologia dell’Emergenza-Sipem)

Proprio quel martedì mattina doveva esserci alla sede dell’Ordine degli Psicologi del Lazio una riunione del gruppo degli esperti in psicologia dell’emergenza, ma alcuni colleghi erano in ritardo, era successo "qualcosa" nella metropolitana di Roma. Nei bar intorno alla metro Flaminio si parlava ad un certo punto di incidente, non più del solito guasto.
Che ironia della sorte, proprio quel giorno ci saremmo dovuti incontrare con i colleghi per lavorare su come migliorare l’intervento in caso di "evento critico".
Altro che ironia della sorte, che crudeltà della sorte avranno pensato i parenti e le stesse vittime di quell’incidente, se avessi preso l’altra metro, se fossi arrivato un attimo prima o dopo, se…..forse…
Quanti se e forse si pensano e si dicono dopo un evento critico, dopo un black out che capita nelle nostre vite soprattutto quando non consideriamo il paradigma dell’imponderabile.
La scarsa frequenza degli incidenti di metropolitana rende questo tipo di eventi critici più potenti nella loro possibilità di sconvolgere i nostri presupposti su come funziona il mondo.
Non so quanti dei lettori potranno ricordare l’immagine di S.M.Goretti sul cruscotto della 500 del papà o il segno della croce fatto prima di un viaggio lungo. Questi, come altri rituali servono anche a contenere le nostre paure e a far sì che queste non ci blocchino nei nostri comportamenti quotidiani, tutti potenzialmente rischiosi.
Ebbene, quanti di noi mettono in atto questi rituali per gestire la loro ansia prima di scendere nella metropolitana?
Quel 17 ottobre il semaforo rosso "permissivo" non era solo quello che ha visto il macchinista del vagone della metro che ha travolto quello precedente, anche per noi psicologi dell’emergenza c’era un semaforo rosso che arrestava la nostra corsa verso la strada, verso le vittime di quell’incidente.
Fino a qualche tempo fa eravamo abituati ad armarci della nostra empatia e delle nostre competenze sulle reazioni psicologiche all’evento critico, su tecniche di debriefing e defusing e partire per raggiungere le vittime sconvolte negli scenari devastati dai disastri urbani.
Siamo partiti ed arrivati in Via Ventotene subito dopo l’esplosione ed abbiamo ottenuto un mandato dalle istituzioni territoriali per poter intervenire, senza che ci fossero protocolli firmati.
Siamo partiti ed arrivati in un Molise scosso dal terremoto, nelle tendopoli gelate abbiamo fatto i nostri interventi a fianco dei comuni e delle ASL.
Questa volta a Roma abbiamo dovuto fermare alcuni colleghi che, con lo stesso entusiasmo, di allora erano partiti per sostenere le vittime dell’incidente della metropolitana.
Quel semaforo rosso che ha arrestato la nostra corsa verso il luogo dell’impatto rappresenta solo apparentemente un limite alla nostra voglia di esserci nell’emergenza.
In realtà il gruppo di esperti che sta lavorando con l’Ordine degli Psicologi del Lazio vuole che gli psicologi dell’emergenza abbiano un mandato istituzionale e sociale per poter intervenire in modo coordinato e soprattutto "pensato" a fianco delle istituzioni.
Sappiamo che la realtà delle nostra professione è complessa e ci saranno attese che rallenteranno la nostra corsa verso i luoghi dell’emergenza, ma l’obiettivo che abbiamo è di poterci finalmente muovere di fronte ad un "semaforo verde".





 
 
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