AUTISMO: “SI INTERVENGA SUL BAMBINO SUPPORTANDO ANCHE LA FAMIGLIA” - Conosco Imparo Prevengo

PSICOLOGIA DELLE EMERGENZE, PROTEZIONE CIVILE, SICUREZZA, TERRITORIO
Vai ai contenuti

Menu principale:

AUTISMO: “SI INTERVENGA SUL BAMBINO SUPPORTANDO ANCHE LA FAMIGLIA”

Archivio > Aprile2015 > Speciali

C.I.P. n. 25- SPECIALI

AUTISMO: "SI INTERVENGA SUL BAMBINO SUPPORTANDO ANCHE LA FAMIGLIA"
Intervista al professor Mark Tano Palermo
di Sonia Topazio
Direttore responsabile CIP

Si è celebrata il 2 aprile scorso l'ottava giornata mondiale per la Consapevolezza dell'Autismo.
Il termine fu designato dallo psichiatra svizzero Eugen Bleuler per designare la perdita del contatto con la realtà e la costruzione di una vita interiore propria, che alla realtà viene anteposta. L'autismo è relativamente frequente nella schizofrenia, ma con qualche differenza può verificarsi anche in altre condizioni.
"Riconoscere i talenti delle persone con disturbi dello spettro autistico, piuttosto che concentrarsi sulle loro debolezze è essenziale per la creazione di una società che sia veramente inclusiva", si legge  in un comunicato delle Nazioni Unite a nome del sottosegretario delle Nazioni Unite Ban Ki-moon.
L'autismo è, quindi, una malattia ad elevato impatto sociale, sulle cui cause e diffusione i dati sembrano non essere certi. Quest'oggi cercheremo di riordinare le idee con il neurologo Mark Tano Palermo, Professore di Psichiatria presso il Dipartimento di Psichiatria e Medicina del Comportamento al  Medical College of Wisconsin, Milwaukee, USA, e presidente del Law and Behavior Foundation.

Lei è un esperto di autismo, che nell'immaginario collettivo è stato rappresentato cinematograficamente dal film "Rain man", nell' 88.
Ah, Rain man! Rain man ha purtroppo affrontato riduttivamente il problema, sottolineando peraltro quella che è una delle  caratteristiche, in realtà, più rare dell’autismo, ossia le capacità di  savant che occasionalmente si incontrano in queste persone. Competenze fuori dell’ordinario in ambito mnemonico, che purtroppo sono quasi sempre sganciate da una finalità "produttiva", e, come in Rain man, rischiano di diventare un fenomeno da baraccone. E’ stato comunque un film utile. Ha portato alla ribalta, in Italia (gli USA sono un paese più consapevole ed impegnato per tutto ciò che riguarda situazioni cliniche ad alto impatto sociale), una malattia che era, ed è tuttora per la verità, seppure in modo diverso rispetto al passato, relegata negli ambulatori e nei centri diurni, e che rimane tutt’oggi avvolta nel "mistero".

Come si fa diagnosi e quali sono i segni dai quali un familiare può sospettare l'insorgenza della malattia?
La diagnosi, come in tutte le condizioni cliniche, è fondamentale. Ed è importantissimo che venga fatta il più presto possibile. L’autismo è una malattia del cervello, e si può dire senza troppi giri di parole che "il tempo è neuroni"! Prima si fa diagnosi, prima si interviene. La diagnosi non è, per la verità, semplicissima. Si avvale di osservazioni seriali del comportamento, di strumenti standardizzati e di grande competenza. L’autismo, come altre situazioni psichiatriche, si manifesta lungo uno spettro di gravità. Due bambini possono essere entrambi autistici ma essere completamente diversi l’uno dall’altro. E’ quindi molto facile, se si è senza grande esperienza ed attenzione, fare errori diagnostici. E questi non sono senza conseguenze, dato che la diagnosi si abbatte come un macigno su una famiglia.

Mi dia una definizione semplice e comprensibile di autismo.
L’autismo è una malattia dell’intelligenza sociale, della relazione, per così dire. Ma non solo. Accanto ad anomalie nel rapporto con gli altri, anche con i genitori, si associano problemi a carico dello sviluppo armonioso del linguaggio e spesso, ma non necessariamente, alcuni comportamenti ripetitivi. Il bambino quindi può evitare il contatto oculare, resistere all’abbraccio, o non ricambiarlo, non sorridere. Può parlare tardi. O talvolta prestissimo, imparando a leggere da solo! Può passare ore a far ruotare oggetti o ad allinearne altri. Ed essere terribilmente infastidito se interrotto. A tutto questo si aggiungono, a volte, iperattività e fastidi sensoriali (sono ad esempio insofferenti al caldo o al freddo, ai sapori od odori che altri non notano, ai rumori "comuni", come ad esempio una ventola o l’aspirapolvere).
La diagnosi o il sospetto richiede consapevolezza ed esperienza. Nel genitore richiede anche grande attenzione. Avere altri figli aiuta molto, perché c’è un termine di paragone.  

Quali sono i miti da sfatare sull'autismo? Ad esempio la pet therapy è utile? I vaccini hanno un ruolo sull'eziopatogenesi?
I miti da sfatare? Quelli non mancano mai. Il mito della madre "frigorifero", ad esempio, che vedeva la madre come responsabile del problema, è stato ampiamente smontato, anche se, per la verità, in certi ambiti clinici incredibilmente ancora resiste con tenacia, sotto altre vesti. Forse un mito da sfatare è che le persone con autismo siano "prigioniere" e che vadano liberate, e che ciò sia possibile trovando la chiave del loro problema. Questo ha difatti portato a fenomeni estremamente controversi e pericolosi nell’ambito di approcci non ben validati scientificamente. La pet therapy?  E’ senza dubbio molto usata in ambito neuropsichiatrico infantile e può essere estremamente utile quando è inserita nel contesto di un approccio multidisciplinare. Ciò che è necessario chiarire, come con qualsiasi altro intervento, è l’obiettivo della terapia. Questo è molto importante perché al suo raggiungimento ne segue un altro, ed un altro ancora. Altrimenti rischia di non essere più terapia.
Il discorso sui vaccini richiederebbe una intervista a sé! E’ un argomento controverso. L’evidenza scientifica non dimostra una causalità relativamente ai vaccini. Esiste senza dubbio una associazione tra alcune vaccinazioni e convulsioni febbrili, e questo è ben noto, ed è evidenza di neurotossicità. Ma questo è vero per tutti i bambini vaccinati. Suppongo sia quindi plausibile che, in certi casi, il vaccino possa scatenare reazioni immunitarie che possano contribuire a determinare lesioni patologiche alla base del quadro clinico che osserviamo. Ma da qui a sconsigliare l’uso dei vaccini ce ne passa!
Quali sono le cause più probabili?
E’ la solita domanda da un milione di euro! L’autismo è una malattia che definiamo "multifattoriale". Ha molte concause. E peraltro non è una singola malattia, come ad esempio la varicella. Vi sono probabilmente molte cause. Esiste sicuramente, in alcune situazioni, una vulnerabilità genetica. Vi sono aree specifiche del cervello coinvolte, essendo l’autismo una malattia neurologica. Ma purtroppo non abbiamo "un gene" o "una causa".
Quali sono gli approcci terapeutici che hanno mostrato i migliori risultati sino ad oggi?
Non esiste "l’approccio" all’autismo. Esistono i bambini, o le persone, con autismo, ed esistono una serie di approcci. Nessun approccio può funzionare da solo. L’autismo è una condizione con cause molteplici e soprattutto con manifestazioni molteplici. Gli interventi devono essere mirati ad obiettivi molto concreti e misurabili. Una delle componenti più importanti della terapia è l’informazione. Rendere consapevoli genitori ed insegnanti ed insegnare loro tecniche di base e strategie significa aumentare in modo esponenziale gli stimoli al cervello dei nostri bambini. In paesi più "avanti", un bambino riceve dalle 15 alle 20 ore di terapia alla settimana. In Italia temo si sia ben al di sotto di questi numeri. Ma genitori ed insegnanti possono essere terapisti validissimi! In fondo non mandiamo i nostri figli da qualcun altro per imparare ad allacciarsi le scarpe, lo facciamo a casa. Non è molto diverso. Basta saperlo fare! Il genitore attento e consapevole è fondamentale.
Quali sono i più grossi deficit nella gestione dell'autismo nel nostro Paese?
C’è una domanda di riserva? Scherzo. Ma nemmeno tanto. I deficit sono molti, dall’esordio alla fine della malattia. E’ fondamentale ricordare che l’autismo si associa ad una durata di vita normale. E a parte il qui e ora, esiste il "dopo di noi", ossia la normale e drammatica preoccupazione dei genitori riguardo al futuro dei propri figli quando loro non ci saranno più. I genitori, purtroppo, come in moltissime altre situazioni in Italia, si sostituiscono, per forza, a istituzioni carenti sul piano assistenziale. Al di là dell’occasionale isola felice, che media e istituzioni usano inevitabilmente come esempio di avanguardia terapeutica, la realtà è ben diversa. Ma per questo dovrebbe chiedere alle famiglie: ce n’è a migliaia.



 
 
Cerca
Torna ai contenuti | Torna al menu