L’incidente di Fiumicino - Noi psicologi dell’emergenze nell’intervento a sostegno delle vittime - Conosco Imparo Prevengo

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L’incidente di Fiumicino - Noi psicologi dell’emergenze nell’intervento a sostegno delle vittime

Archivio > Aprile 2008 > Psicologia delle emergenze

C.I.P. n. 4 - PSICOLOGIA DELLE EMERGENZE

Noi Psicologi dell’Emergenze nell’intervento a sostegno delle vittime dell’incidente di Fiumicino
Quello che ho provato…
Maria Teresa Devito
(Psicologa del lavoro, esperta in psicologia dell’emergenza, segretario di PSIC-AR )

Erano le 9.00 quando ricevo la telefonata dal Presidente dell’Associazione a cui appartengo " Psicologi delle Emergenze Alfredo Rampi", non mi allarmo perché nel quotidiano ci sentiamo spesso per motivi di lavoro. Mi chiede che cosa sto facendo, se sono impegnata a scuola o mi trovo nella nostra Associazione; le rispondo che sono ancora a casa e lei, con voce calma, senza crearmi troppa agitazione, mi comunica la necessità di intervenire per un’emergenza che coinvolge alcuni bambini. Rimango un attimo senza parole, poi rispondo che sono disponibile. Essendo il mio primo intervento su uno scenario così complesso, Rita mi chiede se mi sento pronta, un incidente che coinvolge bambini risulta sempre più drammatico e coinvolgente di altre situazioni. Rispondo chiedendo dov’è successo, in modo da muovermi subito. Mi dice che è avvenuto nei pressi di Fiumicino, mi dà il numero della responsabile presente sul luogo che ha attivato la richiesta, la dott.ssa Ceracchi del 118, con la quale mi metto subito in contatto. Sento la collega, Annamaria, che è stata allarmata insieme al resto del nostro gruppo di psicologi dell’emergenze.
Faccio le prime telefonate, sento le colleghe e alle 9.45, insieme ad Annamaria e Patrizia, ci troviamo sul luogo dell’incidente.
Tutta questa prima fase è caratterizzata da quello stato d’animo che, durante le esercitazioni, abbiamo spesso definito tendenza ad agire. Ma quando arrivi sul posto invece, guardi quello che è successo e ti poni la domanda: "e ora cosa faccio?"
Inizio a percepire una sensazione di irrealtà, come se in un attimo si fosse fermato il tempo, poi capisco che è la morte che caratterizza l’atmosfera. Mi guardo intorno, tutti sono impegnati a fare qualcosa, dai soccorritori alle forze dell’Ordine. Nell’aria si respira la rabbia dei familiari delle vittime e delle persone che abitano lì, molti ripetono con senso di impotenza che " prima o poi sarebbe successo".
L’aria sembra sempre più pesante e l’incertezza di quello che bisogna fare aumenta. Ad un certo punto capisco però che bisogna reagire, c’è chi ha bisogno di aiuto. All’improvviso divento insensibile a quello che vedo intorno a me, tutto scivola addosso e mi sento pronta a dare il mio sostegno alle persone che sono lì, immobili, confuse e inerti.
Mi avvicino ad uno di loro, che mi dicono essere il fratello di una delle vittime. È appoggiato ad una macchina, le braccia strette al petto e guarda il luogo dell’incidente, perso nello sguardo e pieno di rabbia allo stesso tempo. Inizio a parlarci, gli chiedo come si senta. Mi risponde: "e come devo sentirmi! Mia sorella stava portando a scuola sua figlia e ora non c’è più! Era una ragazza splendida, con tanta voglia di vivere. Era appena tornata da un viaggio che aveva desiderato tanto fare!"
Da quel momento resto accanto a lui, non faccio domande, gli faccio sentire solo che ci sono mentre lui continua a parlarmi della sorella. È così che inizio a percepire quanto sia importante essere lì, essere di sostegno a quelle persone che, in un attimo, hanno perso gli affetti  più preziosi. Inizia il susseguirsi di eventi (riconoscimento delle vittime, recupero degli effetti personali fino allo sgombro del luogo) che non lasciano spazio ai pensieri  ma solo all’azione. Mi muovo dentro quella scena e ciò che mi aiuta a farlo è sapere che sono l’unico sostegno nell’immediato alla sofferenza di quelle persone. Cerco le mie colleghe, impegnate anche loro a dare sostegno, i nostri sguardi si incrociano, condividono l’irrealtà del momento ma, nello stesso tempo, fanno capire che non hanno bisogno di aiuto.
È così passa il tempo, con un assoluto silenzio, non si sentono più grida di rabbia e dolore. Tutte le forze sono impegnate a sgombrare il luogo, le persone iniziano a tornare alle proprie case mentre tu rimani lì, ascolti quel silenzio e non riesci a capire quando è il momento di andare via. Senti di essere stato d’aiuto ma forse non abbastanza. Ritrovo le mie colleghe e mentre spostano le ultime auto andiamo via anche noi.
Torno a casa ma tutto mi ritorna nella mente, lucido, senza ombre su quello che è successo e ho fatto. Penso a come sarà per i parenti delle vittime chiudere la porta di casa e sapere che mancherà, per sempre, la persona cara. Quanto tempo ci vorrà per elaborare un trauma così forte, quanto tempo per riuscire convivere con questa assenza.
In tarda serata mi chiama Rita, parliamo un bel  po’ al telefono, mi aiuta ad elaborare il mio vissuto, bagaglio doloroso ma, allo stesso tempo, prezioso.  

*Psicologa del lavoro, esperta in psicologia dell’emergenza, segretario di PSIC-AR (psicologi dell’emergenze Centro Alfredo Rampi)


 
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