Ventotene 20 aprile 2010 - Conosco Imparo Prevengo

PSICOLOGIA DELLE EMERGENZE, PROTEZIONE CIVILE, SICUREZZA, TERRITORIO
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Ventotene 20 aprile 2010

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C.I.P. n. 11 - PSICOLOGIA DELLE EMERGENZE
VENTOTENE, 20 APRILE 2010
Riflessioni di uno psicologo dell’emergenza intervenuto sul luogo della tragedia
Michele Grano
Psicologo dell’educazione e dell’età evolutiva,socio Psic-AR (Psicologi delle emergenze Alfredo Rampi)

Chi scrive porta ancora addosso i segni dei terribili, strazianti giorni di Ventotene. Segni invisibili eppure tangibilissimi, impressi a fuoco negli occhi e certamente molto più in profondità, negli abissi dell’anima.
La sensazione personale è quella di essere stato preso dalla realtà e scagliato in un altro mondo più intenso, più palpitante, se possibile più assurdo e insieme più reale. Un vortice.
La richiesta di disponibilità a partire, la corsa folle in jeep a sirene spiegate, il volo in elicottero. L’arrivo sull’isola funesta l’incertezza sul da farsi. Il professore l’incontro con i genitori l’impotenza la camera ardente Francesca e Sara il silenzio le lacrime il silenzio le grida. Il ritorno sulla motovedetta della Guardia di Finanza l’arrivo a Formia il cimitero la notte. L’arrivo della mamma di Sara la corsa l’abbraccio "cosa raccontiamo al nostro bambino?" l’attesa indefinita i giornalisti i parenti "vedere o non vedere la mia nipotina?" ancora lacrime ancora Francesca e Sara. Ancora dolore.
Allo stesso tempo ho sperimentato, ancora una volta, che è possibile costruire in breve tempo profondi legami di fiducia attraverso la totale accoglienza dell’altro; che è possibile divenire una presenza autorevole e supportiva, nel momento in cui la persona sente di essere realmente compresa e riconosciuta in tutti i suoi bisogni di sofferente.
Sostenere, contenere. La persona che soffre può sentirsi compresa quando si accorge che chi gli sta di fronte riesce a tenere, sostenere i suoi stati emotivi, dando loro valore e significato, oltre che un valido contenimento necessario per l’accettazione e l’elaborazione degli stessi. Al contrario molti – seppur in buona fede – invitano genericamente chi sta manifestando il proprio dolore con pianto o rabbia a "stare calmo", ad "essere forte", a "non pensarci". La persona che soffre non ha tali bisogni: in quel momento non può e non sa stare calma, essere forte o non pensarci (semmai questi sono i bisogni di chi offre tali consigli e in realtà li sta rivolgendo a se stesso, poiché a sua volta preda di un’angoscia che in prima persona non può sopportare). La persona che soffre, al contrario, ha bisogno di sentire che la sua sofferenza ha diritto di esistere senza essere bloccata né mascherata; pertanto, può permettersi di manifestarla senza (auto e/o etero) proibizioni, in presenza di qualcuno che riconosca pienamente tale bisogno.
Ecco l’importanza del ruolo professionale dello psicologo dell’emergenza, chiamato ad essere una "mente pensante" in un contesto in cui le vittime – e non solo quelle più prossime alla tragedia – hanno invece tutte le ragioni per essere sconvolte, confuse, incoerenti.
Lo scrivere, un debriefing personale. Descrivere in poche righe la complessità e la delicatezza dell’intervento in tutti i suoi dettagli è compito arduo. Bisogna tener conto della gravità dell’evento, della molteplicità delle micro-crisi al suo interno, della diversità delle reazioni delle vittime. Ma anche della sofferenza emotiva che tali avvenimenti, come si diceva, suscitano anche in chi scrive.
Nello stesso tempo, è vero che lo scrivere aiuta ad entrare in contatto con tali vissuti e facilita la loro iniziale elaborazione, oltre a favorire la condivisione emotiva e professionale di tali esperienze. È giusto però che certe dinamiche sedimentino e vengano superate, per permettersi uno sguardo più lucido e distanziato che stimoli riflessioni e meta-riflessioni più dettagliate, utili sia a chi scrive che a chi legge.
In conclusione. «Se la vita fosse senza destino, senza morte, senza dolore, perderebbe gran parte del suo senso e della sua forma. È proprio all’incandescenza della sofferenza, che la vita dell’uomo acquista forma e struttura». Nella loro dura intensità i giorni di Ventotene mi hanno fatto sperimentare questa realtà, al tempo stesso così amara e significante. Hanno rimarcato, inoltre, il valore dell’intervento immediato, tanto più efficace quanto più rapido e precoce possibile, per il sostegno psicologico delle persone che hanno vissuto un’esperienza così intrisa di dolore. E, soprattutto, mi hanno permesso di costruire con loro relazioni autentiche e preziose, che mai potranno essere sradicate dalla mia memoria, dal mio cuore.

1 Frankl V. E., Logoterapia e analisi esistenziale, Morcelliana, 2001, pp. 144-145.


 
 
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