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Reazioni immediate ad eventi minacciosi

Archivio > Aprile 2010 > Formazione e scuola

C.I.P. n. 10 - FORMAZIONE E SCUOLA
REAZIONI IMMEDIATE AD EVENTI MINACCIOSI
Se la paura si trasforma in panico
Michele Grano
Psicologo dell’educazione e dell’età evolutiva, socio Psic-Ar

La paura consiste in una forte emozione, spesso improvvisa, che si può provare nei confronti di situazioni, persone o cose che rappresentano un pericolo o che sono avvertite come fonte di minaccia. Di fronte all’evento pauroso possono verificarsi nella persona una serie di reazioni a livello neurologico, emotivo, cognitivo, fisico e comportamentale: innanzitutto essa può comportare un senso di timore, un senso di angoscia e di sospetto sia generalizzato e permanente, sia rivolto a situazioni specifiche percepite come minacciose.
Una delle reazioni tipiche della paura è caratterizzata dall’impossibilità a reagire, una sorta di catalessi che blocca totalmente la persona, denominata freezing (letteralmente, congelamento): di fronte a stimoli pericolosi ci si paralizza totalmente in maniera automatica, e ciò rappresenta generalmente una strategia evolutiva vincente, come afferma LeDoux (2002, pp. 9-10), neurobiologo americano che ha dedicato la maggior parte delle sue ricerche alla comprensione dei processi cerebrali che regolano l’attivazione emotiva. Il meccanismo di immobilizzazione, così come la maggior parte delle risposte difensive in situazioni minacciose, è regolato da una regione del cervello chiamata amigdala, le cui sinapsi sono predisposte dalla natura per rispondere ai pericoli innati e dall’esperienza per rispondere nello stesso modo ai pericoli appresi: i processi e le strategie di risposta al pericolo, infatti, si fissano nel nostro cervello attraverso entrambe le modalità, quella innata o geneticamente programmata e quella acquisita in base ad apprendimento (diversi animali e l’uomo sono geneticamente predisposti a temere determinati oggetti e situazioni, ma possiedono al contempo sistemi cerebrali plastici – secondo l’autore, innatamente plastici – cioè modificabili attraverso l’esperienza, i quali consentono di registrare e conservare le informazioni provenienti da nuove situazioni, codificando le esperienze). L’amigdala è l’elemento centrale del sistema di difesa, in quanto è essa a riconoscere l’eventuale presenza di pericoli (innati o appresi) e, in tal caso, avviare risposte corporee, evolutivamente messe a punto per fronteggiare i pericoli.
L’amigdala riceve input che la informano circa il mondo esterno e in questo modo, quando individua stimoli pericolosi, induce attraverso le sue vie efferenti diverse risposte difensive, tra le quali il freezing, le variazioni nella pressione sanguigna e nella frequenza del battito cardiaco, il rilascio di ormoni ed altre reazioni programmate per reagire alle minacce esterne (ibidem, pp.9-13; p.169), ponendo in una condizione di elevato arousal emotivo, che spinge a trovare delle strategie di fronteggiamento (ibidem, p.286). Pertanto, l’amigdala può essere descritta come «la regione del cervello posta all’incrocio dei sistemi afferenti ed efferenti della paura, nonché la chiave per comprendere in che modo il pericolo sia elaborato dal cervello» (ibidem, p. 296).
Il sistema della paura, si diceva, attiva alcune manifestazioni fisiche, tra le quali l’aumento del battito cardiaco, la tensione muscolare, il sudore freddo, la bocca secca, il vuoto allo stomaco, ecc., tutti aspetti che sono connessi con l’iperattivazione emotiva.  Oltre a ciò, in situazioni pericolose possono verificarsi alterazioni e distorsioni nella percezione (quali visione a tunnel o esclusione selettiva), poiché l’attenzione della persona si focalizza sulla fonte del pericolo, escludendo altri stimoli dal proprio campo percettivo. Per questi motivi, la paura è vissuta generalmente come un’esperienza negativa, anche se, come abbiamo visto, può rivestire un ruolo basilare per la sopravvivenza: per rispondere prontamente al pericolo, infatti, l’uomo attiva istintivamente una serie di riflessi che coinvolgono il sistema neurovegetativo ed endocrino, che a loro volta inducono risposte adattive a situazioni pericolose ed estreme. Una delle reazioni d’allarme più complesse è, ad esempio, quella del "combatti o scappa", che permette di salvarsi la vita attraverso comportamenti di fronteggiamento della situazione pericolosa o di fuga da essa (Zuliani, pp.219-222).

Il panico può essere considerato una degenerazione della paura in comportamenti che non hanno più una funzione difensiva e adattiva e possono causare ulteriori rischi per la persona e per chi la circonda. A livello individuale, il panico può essere definito come un «episodio acuto d’ansia caratterizzato da tensione emotiva e terrore intollerabile che ostacola un’adeguata organizzazione del pensiero e dell’azione» (Galimberti, 1992, p.653). La persona che vive una crisi di panico, che spesso è caratterizzata da fenomeni di depersonalizzazione\derealizzazione e da alterazioni vegetative (come ipersudorazione, pallore, palpitazioni, dispnea, tremore), manifesta un’intensa reazione emotiva che si riferisce o a un pericolo reale o a tensioni interne avvertite come minacciose (ibidem).
Il panico, come ricordano Di Iorio e Biondo (1987, p. 125), «può avere l’effetto di ingigantire un pericolo in realtà non troppo grosso portando la persona ad un’azione spropositata, la quale da sola può causare la morte dell’individuo stesso».
In situazioni d’emergenza, pertanto, il panico può assumere dimensioni più estese e più gravi riguardanti intere popolazioni. Girard, Crocq e Lefebre (1966, cit. in Zuliani, 2006, p.217) descrivono il panico come «una paura collettiva intensa, avvertita simultaneamente da tutti gli individui, caratterizzata dalla regressione delle coscienze ad un livello arcaico, di impulsività e aggressività, e che si manifesta con reazioni di fuga folle, di agitazione disordinata, di violenza o di suicidio collettivo». Tale manifestazione regressiva, preceduta da un’intensa paura, può scatenarsi improvvisamente e propagarsi rapidamente per imitazione o subalternità, associata ad alterazione nella percezione e nel giudizio, suggestionabilità, impulsività, gregarismo acritico, o, all’opposto, a fenomeni di negazione (Zuliani, 2006, pp.224-225).
Perciò il panico è pericoloso per la popolazione colpita da un evento disastroso, in quanto oltre ai danni, alle ferite e alle morti provocate dall’evento stesso, possono verificarsi altre uccisioni e ferimenti causati dalla folla che fugge sconsideratamente cercando di mettersi in salvo calpestando, spingendo e ostacolando altre persone (Tricarico, 2002, p.104). «La terra trema. È l’inferno: la gente spaventata corre e si disperde per ogni dove, abbandonando per strada suppellettili, portandosi dietro vecchi e bambini, urtandosi, cadendo, calpestandosi»: così Cucurachi (1982, p.38) descrive una scena di panico in seguito ad una scossa sismica avvenuta nel 1980 in un paese lucano.
È indispensabile che gli operatori dell’emergenza conoscano a fondo tali fenomeni, per poterli prevenire o affrontare con decisione e insieme con delicatezza nel momento in cui si trovano ad intervenire in contesti difficili in cui regnano confusione e smarrimento.

Bibliografia
Cucurachi G. ( 1982),   Lucania’80: soccorritori nella terra che trema,   Poggibonsi, A. Lalli Editore.
Di Iorio R., Biondo D.  (1987) ,  MANÙ e a proteggerti ci pensi tu ,  Roma, Gruppo Editoriale Enitalia.  
Galimberti U. (1992),  Dizionario di Psicologia ,  Torino, UTET .
LeDoux J.  (2002) ,  Il Sé sinaptico. Come il nostro cervello ci fa diventare quelli che siamo ,  Milano, Raffaello Cortina Editore.  
T ricarico  A. (2002), Problematiche psicosociali e disturbi psicologici nelle catastrofi in  Valerio  P. et al. (Edd.), Psicologia delle emergenze, Napoli, Liguori, pp.17-23.
Zuliani A . (2006), Manuale di psicologia dell’emergenza, Santarcangelo di Romagna, Maggioli.






 
 
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