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Geologia dell’isola di Ventotene

Archivio > Agosto 2010 > Territorio

C.I.P. n. 11 - TERRITORIO
GEOLOGIA DELL’ISOLA DI VENTOTENE
Giovanni Maria Di Buduo
Geologo

L’isola di Ventotene, situata nel golfo di Gaeta (Latina, Lazio), è lunga circa 3 km e larga, nel punto più ampio, meno di 800 metri  (fig. 1); essa rappresenta ciò che rimane di uno strato-vulcano (formato cioè dall’alternanza di colate laviche e strati di pomici e ceneri) avente una base circolare del diametro tra 15 e 20 km (coprente quindi un’area di 180-300 km 2) (fig. 2 e 3). Circa 1,5 km ad est di Ventotene si trova l'isolotto di S. Stefano, che è parte dello stesso edificio vulcanico (fig. 1, 2 e 3).



Fig. 1 – Le isole di Ventotene (a sinistra) e S. Stefano.


Fig. 2 – Probabile posizione di Ventotene e S. Stefano rispetto al vulcano originario [http://vulcan.fis.uniroma3.it].


Fig. 3 – Profilo del fondo marino tra Ventotene e S. Stefano e ricostruzione della possibile forma del vulcano  [http://vulcan.fis.uniroma3.it].


L’isola di Ventotene è caratterizzata dalla presenza di spettacolari falesie, cioè di versanti sub-verticali originati dall’erosione marina dei depositi vulcanici, che presentano un’immersione (cioè una pendenza degli strati) verso est-nord-est.
L’attività magmatica ha un'età compresa all’incirca tra 1 milione e 300.000 anni fa, e si concluse con un'esplosione violentissima, che distrusse gran parte del cono del vulcano, la cui parte centrale era situata qualche km a nord-ovest di Punta dell'Arco. L'erosione operata dal mare e dal vento hanno poi contribuito a modellare le due isole, continuando ad operare tuttora (fig. 4).
Ventotene rappresenta quindi un frammento del fianco sud-orientale di un ampio vulcano ed è formata nella parte inferiore da colate laviche, molto resistenti all’erosione, e nella parte superiore da prodotti derivanti da eruzioni esplosive (pomici, lapilli e ceneri, in genere più erodibili) (fig. 5).



Fig. 4 – Una falesia (parete ad alto angolo generata dall’azione delle onde marine) a Ventotene.



Fig. 5 – La parte inferiore dell’isola di Ventotene è costituita prevalentemente da colate laviche, mentre la parte superiore da prodotti derivanti da eruzioni esplosive [http://vulcan.fis.uniroma3.it].


Le colate di lava, che diedero inizialmente forma ad un ampio cono vulcanico furono seguite per centinaia di migliaia di anni da eruzioni di tipo prevalentemente esplosivo, intervallate da fasi di riposo; queste ultime sono contraddistinte dalla possibilità di sviluppo dei suoli e dall’azione erosiva delle acque meteoriche, che si traducono quindi nella presenza all’interno dei depositi vulcanici di paleosuoli (cioè suoli fossili) e di superfici erosive (fig. 6).
I prodotti visibili lungo le falesie, sopra le lave, corrispondono ad almeno 27 fasi eruttive, di cui solo tre sono rappresentante da attività effusiva (colate e duomi di lava), e il resto da eruzioni esplosive, con diversi gradi di violenza.

L'ultima eruzione avvenuta a Ventotene fu di tipo esplosivo e probabilmente distrusse parte della struttura vulcanica, predisponendola per il successivo smantellamento ad opera dell’erosione (prevalentemente marina): l'insieme dei prodotti di questa eruzione forma un deposito di oltre 30 m, chiamato Tufo di Parata Grande, dal nome della località dove è visibile l'intera successione.



Fig. 6 – Paleosuoli e una superficie erosiva nella successione vulcanica di Ventotene [http://vulcan.fis.uniroma3.it].



Quasi metà dei Comuni italiani risulta essere stato soggetto in passato a fenomeni franosi (47,6% - Progetto A.V.I., Aree Vulnerate Italiane); 9.187 aree sono classificate a rischio molto elevato (R4) per frana ai sensi della L. 267/1998.
Buona parte del territorio italiano deve quindi fare i conti con un’evoluzione del paesaggio che comporta il verificarsi di movimenti franosi: ciò avviene in modo naturale o (molto spesso) a causa della scarsa capacità dell’uomo di relazionarsi in modo equilibrato con le dinamiche dell’ambiente.

I depositi che costituiscono le falesie di Ventotene sono soggetti (come qualsiasi scarpata in materiali vulcanici) a fratturazione dovuta in parte proprio alla loro natura vulcanica e in parte al detensionamento laterale causato dall’erosione. La fratturazione porta all’individuazione di prismi di roccia di varie forme e dimensioni che a seconda di una lunga serie di fattori (principalmente orientazione, frequenza, persistenza, apertura, asperità e riempimento delle fratture) possono essere caratterizzati da un grado di instabilità variabile, fino al verificarsi di movimenti di crollo e/o ribaltamento.

La valutazione del rischio nelle aree soggette ad instabilità dei versanti si effettua a partire dallo studio dei processi geomorfologici (cioè di modellamento del paesaggio) in atto, ed in particolare della tipologia e dello stato di attività dei fenomeni franosi (per un approfondimento consultare l’articolo "Instabilità dei versanti" in C.I.P. n° 5 e "Pericolosità e rischio ambientale" in C.I.P. n° 7).



 
 
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