Emergenza in strada: intervento psicologico in un incidente stradale - Conosco Imparo Prevengo

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Emergenza in strada: intervento psicologico in un incidente stradale

Archivio > Aprile 2009 > Psicologia delle emergenze

C.I.P. n. 7 - PSICOLOGIA DELLE EMERGENZE

 Emergenza in strada
Intervento psicologico in un incidente stradale
Rita Di Iorio
Psicoterapeuta, segretario Centro Alfredo Rampi ONLUS

Di ritorno da un weekend, vi avvistano le prime luci della grande città, superato il casello dell'autostrada Roma est già si pregusta l'arrivo a casa senza intoppi.
Ma! ecco la fila, come mai?
Si procede lentamente ma la fila è cortissima, subito si scorge l'ostacolo: una macchina semidistrutta accanto al guardrail, un corpo steso a terra.
Mio marito, psicologo dell'emergenza e pioniere della Croce Rossa si accosta immediatamente, scende, si avvicina alla vittima a terra, ritorna prende dei guanti e ritorna sul posto.
Io, psicologa dell'emergenza, valuto se scendere perché vedo diverse persone ferme, immagino persone amiche degli incidentati, non vorrei aumentare la confusione.
Osservandole meglio mi accorgo che queste persone non sembrano partecipare emotivamente all'evento ma sembrano semplici spettatori.
Prima cerco di affrontare l’evento e la scena dell’incidente che vediamo dalla macchina con i miei figli, visione drammatica, macchina rotta, lunotto anteriore in frantumi, corpo steso a terra, sarà morto? non si muove, l’altra o altre vittime non si vedono.
Quando sento i ragazzi più tranquilli scendo. Mio marito mi indica una delle vittime dell'incidente, l'autista della macchina e mi dice che per l'altra, investito dalla macchina, non c'è più niente da fare.
Cerco di non soffermarmi sul morto, posizione scomposta, senza una scarpa, vado avanti.
Mi avvicino mi presento, di fronte a me un giovane che trema come una foglia colpita da un forte vento.
In evidente situazione di shock, in piedi, rigido, in silenzio, non mi risponde.
Cerco qualcosa da mettergli addosso, si avvicina un altro soccorritore, prende in macchina un suo giaccone e glielo mette sulle spalle.
Provo a chiedergli come si chiama, comincia a parlare ma come se lo dicesse solo a se stesso, che non è stata colpa sua, che la sua vita è rovinata, perderà il lavoro, se la prenderanno con lui.
Quest’anno è il suo primo incarico a scuola, è insegnante, viene da Napoli, insegna a Roma.
Ascolto, tremo anche io, fa un freddo gelido, allora gli dico che tremiamo in due seppur per motivi diversi. Lui non può infilare il giaccone perché ha le mani ferite e potrebbe rovinare il giaccone del soccorritore. Mi avvicino di più, gli sistemo meglio il giaccone. Questo minimo contatto fisico mi permette di chiedergli cosa è successo. Lui finalmente sembra vedermi, ascoltarmi e si permette di affidarsi un po’ di più. E’ comunque guardingo, non mi ha detto ancora come si chiama, né io glielo ho richiesto. A qualche amico che lo chiama sul cellulare lui dice: " ho avuto un incidente, sono sotto shock, ci sentiamo dopo, ora non ce la faccio!"
Non lo rassicuro su nulla, sono lì aspetto che lui abbia voglia di raccontare, inizia.
Stava percorrendo il tratto tra il casello e il raccordo Roma est, velocità consentita quando una persona sbuca da sinistra scavalcando il guardrail per attraversare la corsia, lui se la trova davanti, la investe e frenando la trascina per alcuni metri. L’impatto rompe il vetro e impatta il davanti dell’auto. Si ferma scende, è leggermente ferito ma incapace di connettere. Si erano fermate altre tre macchine, che io avevo pensato fossero amici, che hanno chiamato la polizia ma non gli hanno saputo dare altro aiuto. Ricostruiamo insieme tutta la vicenda accompagnandola con il ricordo delle emozioni provate, sorpresa, paura, preoccupazione per il futuro. Inoltre mi racconta da dove viene, non ha nessuno a Roma, forse verrà il cognato di passaggio in quei giorni in città. Analizziamo la realtà delle possibili conseguenze. Adesso sento che posso rassicurarlo su alcune delle conseguenze temute inutilmente. Il telefono squilla di nuovo e lui: "sono sotto shock,non ce la faccio a parlare, ti richiamo".
Lui vuole riconosciuto il suo status di vittima, forse per calmare i sensi di colpa di prima: è colpa mia, che mi faranno, come cambierà la mia vita. Quello status che io sto cercando di aiutarlo a riconoscere.
Nel frattempo era arrivata la polizia, uno dei poliziotti si avvina, chiede chi è la vittima e gli chiede cosa è accaduto, lui non risponde, l’altro soccorritore dice che un giovane, di chiare origini extra comunitarie ha attraversato la corsia ed è stato investito. Il poliziotto: la solita storia, non è la prima volta che capita, e se ne va.
Sembra che proprio lì vicino ci sia un campo, non ricordo se di nomadi o di extracomunitari, quindi è capitato anche altre volte che qualcuno per scappare si lanci sulla strada per attraversarla. Il giovane morto stringeva fra le mani un portafoglio. Si ferma un medico, conferma la morte del giovane a terra e ritiene superficiali le ferite alle mani del giovane, sempre in piedi e tremante.
Ci vorrebbe un posto per sederci, lo chiedo ai soccorritori del 118 appena giunti, non si può, lo pretendo, ci sediamo finalmente all’interno, il giovane, l’altro soccorritore ed io.
Si chiacchiera con più calma, chi siamo, cosa si può fare adesso, chi lo raggiungerà all’ospedale dove sarà portato dall’ambulanza ecc.
Finalmente ci dice come si chiama!
Gli chiedo se può essergli di aiuto farlo raggiungere da una collega all’ospedale ma dice che il cognato è stato avvertito e l’aiuterà in tutto.
Ci raggiunge mio marito, riusciamo anche a buttare lì qualche battuta, qualche debole sorriso.
Ci guarda, ci ringrazia, non trema più. L’ambulanza può andare, ci salutiamo
Andiamo via, resta la polizia e il cadavere a terra in attesa del furgone mortuario.
In macchina i ragazzi chiedono cosa sia successo, hanno bisogno di elaborare ciò che hanno visto.
Mio marito: povero giovane, senza nome, chissà da dove è venuto per cercare fortuna, ed invece è morto, solo, miseramente, prematuramente.
Io: Povero A., per colpa di quel giovane non sarà più lo stesso, anche se miracolosamente salvo. Quanto impiegherà per recuperare i danni, quelli economici qualche mese, quelli psicologici?
Ognuno di noi si porta dentro la vittima che ha assistito senza pensare chi fosse, chi avesse colpa, da dove provenisse, che colore avesse la sua pelle.



 
 
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