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C.I.P. n. 23 - TERRITORIO
SMART CITIES - LA CITTÀ INTELLIGENTE É QUELLA CHE NEL SUO SVILUPPO TIENE CONTO E PRIVILEGIA L’EQUILIBRIO CON IL TERRITORIO

A COLLOQUIO CON LA PROFESSORESSA DONATELLA DE RITA, DOCENTE IN VULCANOLOGIA PRESSO IL DIPARTIMENTO DI SCIENZA DELL'UNIVERSITÀ DEGLI STUDI "ROMA TRE"
di Sonia Topazio                      

Direttore responsabile CIP

Oggi si parla molto di Smart city. Al momento sono in atto, ci sono appena stati o ci saranno nell’immediato futuro, numerosissimi convegni che fanno riferimento a questo titolo con contenuti vari che spaziano dall’uso delle tecnologie più avanzate, per rendere più efficienti le attività di una città, alle relazioni con l’ambiente urbano, inteso come nuovo ecosistema, alla ricerca di risorse soprattutto energetiche alternative.

Tutti discorsi utili, vorrei dire futuristi ed eccitanti ma che a volte mi sembrano scollegati con quella che è la realtà di un agglomerato urbano, della ragione della sua esistenza e delle sue problematiche, che mi sembrano estremamente più relazionabili alla struttura e tessitura del centro urbano, che è necessario conoscere per capirne l’evoluzione e le caratteristiche, trovando soluzioni.

Perché dover  pensare che una città intelligente è quella in cui si trova parcheggio con una app?  

Personalmente mi immagino perennemente in giro intorno ad un’area di parcheggio con un’app in mano che continua a segnalarmi che di parcheggio non ce n’è, oppure si trova a molti km dall’area di mio interesse. Come può un’app far apparire un parcheggio in una città che di spazio per questo non ne ha più? Come può un telefonino risolvere il problema di traffico in un quartiere troppo grande, con una sola strada principale di uscita e nessuna possibilità di costruirne un’altra?
Non sarebbe più opportuno definire intelligente la città che nel suo sviluppo tiene conto e privilegia l’equilibrio con il territorio?

Si spieghi meglio.

Le città non possono crescere all’infinito e dovrebbero svilupparsi tenendo conto dei caratteri morfologici e litologici del loro territorio, delle risorse e dei rischi. Qualcosa che i nostri padri forse facevano istintivamente o perché non potevano contare su una sofisticata tecnologia. Tant’è, però  se pensiamo alle grandi città dell’Europa, come Londra. Parigi, Madrid, Roma,  hanno tutte almeno un paio di migliaia di anni. Sono lì da quando sono nate, con alterne vicende, ma solide e apparentemente indistruttibili. Molte, anzi quasi tutte, conservano nella loro struttura le tracce originarie. Come è possibile che tutta la voglia di novità e rinnovamento, che pure ha caratterizzato gli ultimi secoli, non ha mai toccato il cuore di queste vetuste città? Non si sono neanche spostate un poco più in là. Semplicemente le città si sono gonfiate e non credo proprio sia un caso che i quartieri con maggiori problemi siano quelli nuovi, mentre i nuclei storici resistono nonostante l’età.

I nostri padri costruivano meglio? Avevano una tecnologia addirittura più aggiornata della nostra? Come è possibile che la nostra tecnologia non sia in grado di garantirci la stessa resistenza al tempo di una volta?


Eppure la risposta è semplice: per necessità o perché davvero smart, i nostri padri costruivano le città rispettando le caratteristiche geologiche del territorio, utilizzandone le risorse e cercando di evitare le aree esposte.
Così fecero i Romani fino alla fine della Repubblica, quando Roma aveva le sue aree residenziali sui colli e le infrastrutture nella valli, e quando in queste ultime si coltivavano gli orti che auto-sostenevano la città. Le cronache del tempo non registrano "disastri naturali", né alluvioni, né terremoti, soprattutto perché questi eventi, pur essendoci, non producevano danni e pertanto erano visti come fatti occasionali a cui attribuire significati reconditi. Ma l’impero ha conosciuto bene sia i terremoti che le alluvioni, perché l’espansione incontrollata di Roma aveva ormai esposto la popolazione al rischio. A mio avviso, fino all’epoca repubblicana Roma è stata la smart city di 200 anni fa.  Forse, invece, guarderei alla Roma Imperiale come ad un esempio da non seguire.

Dal passato possiamo imparare molto.

Oggi, tutte queste città si trovano a dover affrontare problemi di stabilità o comunque di rischio connessi alla scelta di un’espansione urbana in settori esposti, partendo dal presupposto che la tecnologia sia in grado di risolvere ogni problema. Purtroppo molto spesso constatiamo che così non è, e allora parliamo di fatalità o di disastri naturali, quando in realtà non esistono disastri naturali: i disastri li facciamo noi.
Le città più sono grandi e più tendono a perdere le caratteristiche originarie che erano fondamentalmente dettate dalla necessità di sviluppare una città in funzione del territorio e delle sue risorse e rischi.
Quando la tecnologia non è utilizzata a rigore di logica, più che in una risorsa si trasforma in un danno. Non danni naturali, ma danni causati dall’uomo: perché la natura non fa danni ma processi.
I processi naturali, terremoti, alluvioni e vulcanismo, sono alla base dell’evoluzione dinamica del nostro pianeta e soprattutto assicurano la presenza delle risorse, come acqua, materiali, gas petrolio, energia geotermica ecc.
Se guardiamo alla localizzazione sul pianeta delle grandi città, ci accorgiamo che hanno una distribuzione molto coincidente con quella dei terremoti e dei vulcani.

Che vuol dire questo? Che l’uomo ama vivere pericolosamente?

Ovviamente no, vuol dire che le aree dinamicamente molto attive del nostro pianeta sono quelle dove sono maggiormente concentrate le risorse che ci servono, non solo per vivere ma per avere una buona qualità di vita.
Con i rischi dobbiamo imparare a convivere, perché non possiamo e non dobbiamo eliminarli: sarebbe come eliminare noi stessi. Dobbiamo imparare che una valle, anche quando utilizzata come via di scorrimento, è sempre una valle, una via di raccordo che serve come via di trasporto del sedimento dell’acqua dalle alte alle basse quote. Esiste un equilibrio tra la morfologia delle aree alte e quelle besse e sulla quantità e modalità di trasporto del sedimento nei fiumi. Noi possiamo intervenire su questo equilibrio, lo possiamo alterare, spingendo al limite la capacità del sistema di riequilibrarsi, ma non lo possiamo ignorare cercando di eliminarlo. La totale impermeabilizzazione del suolo nelle aree urbane  è la causa principale della violenza dell’acqua: le cosiddette bombe d’acqua che si traducono in disastrose alluvioni, non sono un effetto del cambiamento climatico, ma dei percorsi obbligati a cui abbiamo costretto l’acqua in città. Allora, smart è la città che si adopererà a capire qual è l’equilibrio del suo territorio e opererà nel suo rispetto.

Pochi lo sanno ma "smart" nasce da un acronimo: S per specifico, M per misurabile, A per attuabile, R per realistico e T per tempo. Il tutto riferito ad un progetto che poi può essere applicato a far divenire intelligente una città. Gli obiettivi del progetto devono essere chiari e comunicabili; focalizzati; specifici; misurabili; attuabili; realistici; pianificabili; scomponibili.
Perché poi il tutto si sia tradotto nell’esclusivo uso delle tecnologie di telecomunicazioni resta un mistero.
La cosa più interessante è che per realizzare un progetto SMART si passa attraverso un’analisi di gestione del rischio con cui si stima il rischio legato a una determinata azione/evento, per poi sviluppare strategie adatte ad evitarlo e/o gestirlo. In una città bisognerebbe introdurre i temi fondamentali della geologia per essere sicuri che i nostri progetti SMART lo siano davvero.

Se SMART viene applicato alla gestione di una città, smart city, allora la prima cosa di cui è necessario tener conto è di dove e come si è sviluppata la città. Le città nascono intorno ad una risorsa e si sviluppano in relazione alla risorsa stessa, seguendo il disegno morfologico e litologico. La geometria di città come Roma e Napoli è stata fortemente determinata dalla morfologia del territorio e dai processi naturali che li interessavano e li interessano. E nella geologia troviamo una delle ragioni per cui Roma è divenuta la potenza mondiale che conosciamo, mentre Napoli ha seguito un destino diverso.
Banda larga, efficienza energetica, riduzione di traffico e consumi, isole digitali, sportelli d’informazione per l’energia, sensori per il traffico, contatori elettronici per il gas ecc. e chi più ne ha più ne metta, possono solo essere strumenti di sostegno ad un uso intelligente del territorio e della sua risorsa, qualcosa che bisognerebbe conoscere a priori. La geologia è il primo presupposto della nascita e dello sviluppo di una città ed è anche l’elemento che ne può determinare la fortuna o la decadenza.

I geologi ne sono forse più consapevoli degli altri professionisti che operano in ambito urbano?

Sì, se non altro perché hanno sempre a che fare con la morfologia, la litologia, l’idrogeologia, le risorse e ultimamente, sempre più spesso, con i rischi: quelli già avvenuti, non quelli da prevenire. Sono quindi le figure professionali più indicate per pianificare uno sviluppo urbano intelligente. Eppure, nessuna tematica geologica rientra mai nel contesto delle smart city.

Consapevoli di questa "omissione", gli esperti in materia si sono mossi?

I Giovani Geologi della Società Geologica Italiana hanno recentemente organizzato un convegno dal titolo un po’ provocatorio, "Le Smart City si edificano sulla Geologia", che si è svolto dal 19 al 21 di Giugno presso l’Università La Sapienza.
Il filo conduttore del Convegno è stata la geologia in ambito urbano: ruoli, doveri e mancanze di ruoli in città sempre più grandi e sempre più disastrate, che mancano di programmazione ed hanno dimenticato il substrato su cui si sono edificate.
Poi, la necessità di guardare al passato per re-imparare una gestione corretta di una natura che il cittadino neanche vede più ( e neppure il geologo). Quando acquistiamo una casa non ci preoccupiamo più su che tipo di substrato è stata edificata, come è la sua posizione rispetto al pendio, all’esposizione non solo al sole, ma ai rischi, soprattutto alluvioni, terremoti e frane. Poi spesso ci troviamo a dover affrontare problemi  di stabilità, invasione delle acque, risentimenti di terremoti. E scopriamo di esserci fidati delle persone sbagliate. O che le speculazioni ci hanno dato la fregatura.
Ma molto spesso, neanche più i gestori delle cose pubbliche (quelli che danno il permesso di costruire o pianificano lo sviluppo della città) sono al corrente di questi problemi, non nutrendo interesse per essi. Si aspetta il danno per trovare la soluzione tecnologia.
E via con il giro di quattrini.





 
 
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