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Mobbing (seconda parte)

Archivio > Dicembre 2008 > Sicurezza nei luoghi di lavoro

C.I.P. n. 6 - SICUREZZA NEI LUOGHI DI LAVORO

VIOLENZE SUI LUOGHI DI LAVORO
CARATTERI IDENTIFICATIVI DEL MOBBING DA UN PUNTO DI VISTO PSICOLOGICO/GIURIDICO

Gabriella Mosca
Psicologa di PSIC-AR, esperta in psicologia giuridica e dell’emergenza

(Continua da CIP n.5 agosto 2008)
Tuttavia si riconoscono forme rituali di comportamento con cui viene perpetrato il mobbing, tra le forme più frequenti di persecuzione: l’aggressività verbale è sicuramente uno dei comportamenti tipici soprattutto nelle fasi iniziali. La conflittualità aziendale spesso trova il suo sfogo proprio nell’adozione di linguaggi ed atteggiamenti più o meno aggressivi, fino a sfociare nei casi più gravi, nel vero e proprio insulto, che come tale può configurare anche responsabilità di tipo penale per chi lo pratica strutturante il reato ex art. 594 c.p. La dequalificazione professionale, sovraccarico di lavoro o attribuzione di mansioni usuranti o pericolose con obiettivi impossibili da raggiungere, sono altre modalità tipiche attraverso le quali si evidenzia il mobbing. Spesso accade che la conflittualità tra dipendente e vertice aziendale si ripercuota sulla professionalità del lavoratore attraverso una progressiva spogliazione delle sue mansioni e delle sue competenze, gli vengono infatti ridotte le responsabilità lavorative, con assegnazione di compiti palesemente inferiori o con drastica riduzione del flusso di lavoro da sbrigare. L’esercizio del potere disciplinare da parte del datore di lavoro nei confronti del lavoratore, può travalicare i limiti della legittimità laddove, fermo restando la necessità di provare i fatti contestati, sia espressione di una volontà persecutoria ai danni del dipendente; in questi casi il datore di lavoro potrà essere esposto alla tutela risarcitoria aquiliana e contrattuale. Tutte queste azioni contro il lavoratore comportano, infatti una spregiudicata violazione delle regole di correttezza e diligenza ex art. 1175 e 1176 c.c. e dell’art. 2013 c.c. Anche le molestie sessuali sono una tipica manifestazione di mobbing, in questi casi però, spesso diventa difficile distinguere quando la molestia sessuale sia lo scopo del comportamento o sia solo una modalità per ottenere l’allontanamento del lavoratore dal posto di lavoro. La Corte di Cassazione con la sentenza n. 143 del 2000 ha trattato il legame fra il mobbing e le violenze stesse affermando che le molestie sessuali poste in essere dal datore di lavoro o dai colleghi costituiscono uno dei comportamenti più detestabili fra quelli che possono ledere la personalità morale e l’integrità psico-fisica dei prestatori d’opera subordinati. Un altro dei comportamenti del datore di lavoro, che rientrano tra quelli propri del mobbing è costituito dalle ripetute visite fiscali giornaliere di controllo (cosiddette visite a pioggia, non di rado richieste anche di sabato e di domenica) nei riguardi di un lavoratore assente per malattia.
Leymann (1990) in particolare, ha individuato circa quarantacinque comportamenti che possono costituire mobbing, riconducibili a cinque categorie di condotta degli aggressori:

  • attacchi alla possibilità di comunicare: in questo caso la vittima subisce dei limiti radicali alle proprie possibilità di comunicare con altre persone quando deve ricevere informazioni inerenti al lavoro. Ne deriva un isolamento che non è fisico ma che la costringe comunque a subire un’esclusione unilaterale da parte degli altri soggetti;

  • attacchi alle relazioni sociali: l’esclusione viene perpetuata anche fisicamente: la vittima è spesso trasferita in luoghi isolati dove non può comunicare con nessuno, o (se ciò non è possibile) viene costantemente esclusa da ogni dialogo all’interno del gruppo di lavoro;

  • attacchi all’immagine sociale: la vittima diventa bersaglio di continue offese sul piano sia lavorativo che privato. Vengono impartiti molti ordini, così da crearle confusione e vengono dati spesso comandi contraddittori, in modo da indurla in errore e farla apparire incapace di svolgere il proprio lavoro;

  • attacchi verso la qualità della situazione professionale: i sabotaggi sono la caratteristica più drammatica di tale situazione; spesso vengono poi affidati al soggetto compiti senza senso o umilianti, o non gli viene dato alcun lavoro, o ancora vengono rimarcati pesantemente i suoi errori;

  • attacchi alla salute: vengono affidati al soggetto incarichi gravi, stressanti o pericolosi che si ripercuotono negativamente sul suo stato di benessere psico-fisico. Questa classificazione è contenuta in un catalogo sviluppato da Leymann chiamato LIPT, Leymann Inventory of Psychological Terrorism.

L’elencazione riportata, per ovvie ragioni, non ha carattere esaustivo, le modalità di persecuzione psicologica potrebbero essere infinite; è opportuno però ribadire che le attività vessatorie, per essere qualificate come mobbing, devono essere inserite in una strategia globale che mira all’isolamento del lavoratore nell’azienda.
Questi comportamenti possono assumere, in alcuni casi, rilevanza anche da un punto di vista giuridico e determinare conseguenze sanzionatorie nei confronti del soggetto agente. Gli elementi indispensabili a connotare una serie di azioni come mobbizzanti, e che possono essere presi in considerazione per inquadrare un’eventuale azione giuridica sul mobbing (o per una definizione giuridica dello stesso sono:

  • elemento soggettivo: quello dell’intenzionalità, il fatto che il collega o il datore di lavoro mette in atto con l’intenzione di colpire il lavoratore. E’ proprio in base alla finalità che quel comportamento intende perseguire che si potrebbe parlare di mobbing sul lavoro a danno di un soggetto;

  • elemento temporale: ovvero la reiterazione del comportamento che deve essere perpetrato settimanalmente per un periodo prolungato di più mesi (come spiegherò in seguito);

  • elemento dannoso: ciò che si vuole provocare al lavoratore è proprio un danno, che può addirittura arrivare alle dimissioni (come abbiamo detto in precedenza).

Orbene, una volta appurate le conseguenze che il fenomeno del mobbing è in grado di provocare per la persona del lavoratore, e per far sì che lo stesso possa sentirsi protetto nella sua dimensione di uomo prima ancora di prestatore d’opera è necessaria una prevenzione e sensibilizzazione al fenomeno anche a livello politico, in quanto il mobbing diventa controproducente anche per l’impresa che pensasse di avvantaggiarsene, dato che comporta un decremento generalizzato dei livelli di salute e sicurezza dei dipendenti e una perdita di qualità dei servizi/prodotti e dell’immagine.




 
 
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