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10, 100, 1000 Vajont

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C.I.P. n. 21 - TERRITORIO
10, 100, 1000 VAJONT
Una riflessione su passato, presente e futuro delle calamità legate a fenomeni naturali
Giovanni Maria Di Buduo

Geologo

La sera del 9 ottobre 1963 una massa di oltre 260 milioni di metri cubi di rocce e detriti precipitò a forte velocità dal versante settentrionale del monte Toc (provincia di Belluno) all’interno dell’invaso artificiale ottenuto dalla costruzione di una diga lungo la valle del torrente Vajont. Il gigantesco corpo di frana prese in pochi istanti il posto occupato prima dall’acqua del lago creando una immane ondata che allo sbocco della stretta gola aveva un’altezza di 70 metri e seminò morte e distruzione (1917 vittime) (fig. 1).




Fig. 1 – Articolo di Tina Merlin su L’Unità del 13 ottobre 1963, 4 giorni dopo il tragico evento alla diga del Vajont costato la vita a quasi duemila persone.



Una incredibile combinazione di responsabilità umane portarono a costruire la diga in una zona geologicamente del tutto inadatta ad ospitare un invaso artificiale, e a metterla ostinatamente in esercizio anche dopo una lunga serie di fenomeni di instabilità verificatisi fin dalla prima fase di invaso, oltre tre anni prima del famigerato 9 ottobre 1963 (Di Buduo, 2007).
Questo è stato il "Vajont".
Ma quante piccole e poco conosciute località hanno già acquisito e acquisiranno un’ingrata fama per analoghi motivi?
L’elenco degli ultimi 20 anni è lungo (e comprende anche grandi città) (fig. 2): Sarno, Soverato, Quindici, Giampilieri, Scaletta Zanclea, Villar Pellice, Genova, Carrara, Olbia, Atrani, Capoterra, Vibo Valentia, Acireale, Giarre, Saponara…
Ognuna di queste località ha già avuto il suo piccolo "Vajont" (qualcuna più di uno), e molte altre purtroppo lo avranno in futuro, quasi sempre per le stesse cause: un’urbanizzazione poco avveduta e un abusivismo che ha giovato di ripetuti condoni, che gravano su un territorio articolato e molto dinamico (Di Buduo, 2009; 2011), il tutto reso più problematico dalla mancanza di una cultura della prevenzione e dai consueti incendi estivi (secondo i dati del Corpo forestale dello Stato dal 1970 al 2012 sono andati in fumo quasi 4 milioni e mezzo di ettari di territorio, di cui il 46% di superficie boschiva ed il 64% non boschiva).
Chissà dove si verificherà il prossimo piccolo "Vajont", purtroppo i luoghi possibili sono molti, troppi: forse sarà un corso d’acqua stretto all’inverosimile tra case abbarbicate sulle sue sponde, forse avverrà in un paese costruito su un conoide alluvionale o in quartiere innalzato su una foce fluviale, o in una pianura ingombrata da capannoni…



Fig. 2 – Principali eventi alluvionali che negli ultimi 20 anni hanno causato vittime e/o ingenti danni.



Dal 1960 al 2011 si sono verificate almeno 789 frane che hanno prodotto oltre 5.000 vittime (3.417 morti, 15 dispersi, 1.940 feriti) in 522 comuni, ed oltre 500 inondazioni che hanno causato più di 1.700 vittime (753 morti, 68 dispersi, 947 feriti) in 372 comuni (IRPI - Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica del CNR) (fig. 3).
Dal 1918 al 1994 il 67,8% dei comuni italiani sono stati colpiti da movimenti franosi (il 47,6%) o da inondazioni (il 42,8%), mentre il 22,6% e’ stato colpito sia da frane che da inondazioni (CNR-IRPI, 1998).
Si stima che la popolazione potenzialmente esposta ad un elevato rischio idrogeologico sia pari a 5,8 milioni di persone e quella esposta ad elevato rischio sismico sia pari a 21,8 milioni di persone (36% della popolazione). Nelle aree ad elevata criticità idrogeologica si trovano circa 1,2 milioni di edifici e in quelle ad elevato rischio sismico 5,5 milioni.
Le aree ad elevato rischio sismico risultano essere circa il 44% della superficie nazionale (131 mila kmq) e interessano il 36% dei comuni (2.893). Le aree ad elevata criticità idrogeologica (rischio frana e/o alluvione) rappresentano circa il 10% della superficie italiana (29.500 kmq) e riguardano l’89% dei comuni (6.631) (fig. 4).



Fig. 3 – Le vittime verificatesi a seguito di eventi franosi e alluvionali tra il 1960 e il 2012 (CNR-IRPI, immagine ANSA-Centimetri).



Fig. 4 – Le aree ad elevata criticità idrogeologica in Italia (elaborazione CRESME su dati Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare 2008).



Fig. 5 – I principali eventi di frana del 2011 [elaborazione ISPRA su dati ISTAT, Coldiretti, CIA, MiPAAF, Dipartimento Nazionale della Protezione Civile].


Il costo derivato dalla mancata manutenzione e prevenzione del rischio idrogeologico ammonta a 3,5 miliardi all’anno, un costo che, se si tiene conto di tutti danni provocati da terremoti, frane e alluvioni, dal 1944 al 2012, raggiunge la cifra complessiva di 242,5 miliardi di euro (Primo Rapporto ANCE/CRESME - Lo stato del territorio italiano 2012): in Italia le calamità legate a fenomeni naturali ogni anno hanno un costo medio dello 0,2% del Pil (Ocse 2012).
Solo nel 2011, e solo per le frane (91 eventi), si sono avute 39 vittime e 1,63 miliardi di danni (fig. 5)
I piani comunali di protezione civile, purtroppo, sono ancora spesso considerati dalle amministrazioni locali come delle mere incombenze burocratiche e non come un potente strumento di conoscenza del proprio territorio e di salvaguardia dei cittadini, attraverso azioni di informazione, formazione ed esercitazioni, atte ad infondere nella popolazione la consapevolezza dei rischi che incombono quotidianamente sui luoghi in cui si vive. Un piano di protezione civile può essere redatto nel miglior modo possibile, ma se non è conosciuto dalla popolazione è uno strumento assolutamente inutile.
Un’utile iniziativa è stata promossa dal mondo professionale: il Consiglio Nazionale dei Geologi, di concerto con la Protezione Civile e gli Ordini Regionali, ha dato infatti il via al proprio progetto di prevenzione nazionale, consistente in un piano di azione e di informazione sul rischio idrogeologico e sismico che prevede al primo posto l’attuazione dei Presidi Territoriali Idrogeologici, valido strumento di previsione e prevenzione.
Michele Orifici, presidente della Commissione Protezione Civile del Consiglio Nazionale dei Geologi  ha affermato che si sta avviando "un concreto piano di prevenzione nazionale che partendo da misure non strutturali, i cui effetti positivi possono essere ottenuti più a breve termine, prosegua verso una oculata programmazione di interventi strutturali preventivi, molto meno costosi di quelli necessari in emergenza."
Inoltre a fine novembre dell’anno scorso è stata finalmente presentata la proposta di legge per la costituzione dell'Ufficio Geologico Territoriale di zona nei comuni italiani, che avrà il compito di effettuare un lavoro di monitoraggio territoriale ai fini delle attività di valutazione (previsione) e prevenzione dei rischi geologici, di vigilare sulla rete idrografica secondaria, e di individuare le aree a pericolosità e rischio idrogeologico presenti nel territorio di competenza.
Il tempo chiarirà se, dopo le promesse di impegno che seguono puntualmente ogni evento calamitoso, la politica riuscirà a rendere operativa una simile iniziativa che potrebbe rappresentare il punto di svolta per il nostro Paese.
Le parole del Presidente del Consiglio Nazionale di Geologi Gian Vito Graziano rappresentano l’estrema sintesi di quanto esposto nel presente articolo: "L’Italia ha raggiunto una situazione non più tollerabile, rischiamo una tragedia ad ogni temporale. Occorre sfruttare le competenze di chi conosce bene le dinamiche del territorio. Ma lo si faccia prima, non il giorno dopo."



RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

APAT (ora ISPRA): Progetto IFFI -  Inventario dei Fenomeni Franosi in Italia.

CNR - GNDCI (Gruppo Nazionale per la Difesa dalle Catastrofi Idrogeologiche) (1999-2001): Progetto AVI - Aree Vulnerate Italiane.

CNR - IRPI (Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica) (1998): Carta delle Aree Colpite da Movimenti Franosi e da Inondazioni - 2a edizione. Progetto AVI, CNR-GNDCI, n. 1782.

Forum del Consiglio Nazionale dei Geologi e degli Ordini Regionali "Le frane in casa". Roma, 16 giugno 2010.

Di Buduo G.M. (2007): Vajont. Le cause della frana del Monte Toc del 9 ottobre 1963. Conosco Imparo Prevengo n. 3.

Di Buduo G.M. (2009): Pericolosità e rischio ambientale. Conosco Imparo Prevengo n. 7.

Di Buduo G.M. (2011): Il dissesto idrogeologico. Conosco Imparo Prevengo n. 15.

ISPRA: Progetto ReNDiS - Repertorio Nazionale degli interventi per la Difesa del Suolo.

Legambiente: Ecosistema Rischio 2011 - Monitoraggio sulle attività delle amministrazioni comunali per la mitigazione del rischio idrogeologico.

Primo Rapporto ANCE (Associazione nazionale costruttori edili) / CRESME (Centro ricerche economiche, sociologiche e di mercato) - Lo stato del territorio italiano 2012.


 
 
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