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Pericolosità e rischio ambientale

Archivio > Aprile 2009 > Territorio

C.I.P. n. 7 - TERRITORIO

PERICOLOSITÀ E RISCHIO AMBIENTALE
Giovanni Maria Di Buduo
Geologo

1. IL RISCHIO CONNESSO AD EVENTI NATURALI

Il nostro Paese è caratterizzato da una naturale evoluzione del paesaggio che purtroppo determina improvvise sciagure per l’uomo con drammatica continuità.
Terremoti, alluvioni, valanghe, frane, eruzioni sono eventi naturali
. Li definiamo pericolosi, poiché a causa delle loro caratteristiche possono potenzialmente arrecare danno all’uomo, ma in realtà questo concetto comune di pericolosità non corrisponde alla definizione scientifica: la pericolosità di un evento naturale è infatti la probabilità che tale evento si verifichi con una certa intensità in una certa area in un determinato intervallo di tempo.

L’evento naturale quindi può avere una pericolosità più o meno elevata, ma la possibilità di arrecare danni all’uomo (quindi l’entità del RISCHIO) dipende dalla presenza di elementi potenzialmente danneggiabili (edifici, infrastrutture, attività industriali e commerciali, vite umane, ecc.), ciascuno caratterizzato da un certo grado di vulnerabilità all’evento.
Consideriamo per esempio un terremoto che produca un determinato "scuotimento" in superficie: in una zona disabitata non può arrecare danno all’uomo (quindi l’evento non è fonte di rischio), ma in una zona edificata può produrre danni di entità direttamente proporzionale alla vulnerabilità degli elementi esposti. Il medesimo evento determina quindi gradi diversi di rischio a seconda dell’area che si considera.

La definizione esatta di rischio dovuto ad eventi naturali è la seguente:
il rischio è l’entità del danno atteso in una certa area, in un certo intervallo di tempo, provocato dal verificarsi di un fenomeno naturale di una certa intensità

RISCHIO = P ∙ E ∙ V
(P) PERICOLOSITÀ
Probabilità che un certo fenomeno di una certa intensità si verifichi in una certa area in un determinato intervallo di tempo; il fenomeno può essere naturale  o indotto più o meno direttamente e in misura variabile dall’azione dell’uomo.
(E) ELEMENTI A RISCHIO
Elementi esposti al fenomeno: popolazione; beni storici, artistici ed archeologici; attività sociali ed economiche; manufatti; infrastrutture di trasporto (strade, ferrovie) e di servizio (reti elettriche, idriche, telefoniche, fognature); ecc.
(V) VULNERABILITÀ
Entità del danno subito da un elemento a rischio in conseguenza di un fenomeno di una certa intensità = attitudine di un elemento a rischio a subire gli effetti di un fenomeno in funzione della sua intensità. Assume valore da 0 (nessun danno) a 1 (perdita totale dell’elemento a rischio).


2. LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO E DELLA PERICOLOSITÀ

È facile adesso intuire quanto sia estremamente difficile quantificare in una certa area il rischio connesso ad un particolare tipo di evento.
In base al tipo di evento (terremoto, alluvione, frana, ecc.) occorre innanzitutto valutare la
PERICOLOSITÀ, cioè stimare in una certa area la probabilità che esso si verifichi con una particolare intensità in un certo intervallo di tempo: ciò è possibile grazie allo studio dei dati storici e ad un’approfondita conoscenza del territorio e delle sue dinamiche (competenze del geologo).
Per arrivare alla stima del RISCHIO è poi necessario individuare tutti i beni interessabili da tale evento (ELEMENTI A RISCHIO), e determinare per ciascuno di essi l’ammontare dei potenziali danni (
VULNERABILITÀ).

Per poter pianificare lo sviluppo del territorio gli Enti Locali si dotano degli strumenti idonei di conoscenza del suo stato; vi sono varie Istituzioni che si occupano di produrre cartografia tematica sulla pericolosità e sui rischi dovuti ad eventi naturali: l’I.N.G.V., il Dipartimento della Protezione Civile, le Autorità di Bacino, l’I.S.P.R.A. – ex A.P.A.T., l’ENEA, ecc..

Poiché la valutazione della pericolosità scaturisce da previsioni probabilistiche (previsione spaziale, di intensità, temporale) è ovviamente affetta da un certo grado di incertezza, dipendente dal tipo di fenomeno, dal dettaglio dei dati storici, e ovviamente dall’accuratezza nella conoscenza del territorio e nei procedimenti di previsione. Tale grado di incertezza deve essere sempre tenuto presente da chi usufruisce di questa cartografia tematica.

Vediamo brevemente di seguito due approcci di studio per una tipologia di evento, la frana (per i terremoti si faccia riferimento all’articolo "Pericolosità sismica in Italia" in questo numero; nel prossimo numero sarà trattata la valutazione della pericolosità e del rischio di alluvione).


3. PERICOLOSITÀ E RISCHIO PER FRANA

Quasi metà dei Comuni italiani risulta essere stato soggetto in passato a fenomeni franosi (47,6% - Progetto A.V.I., Aree Vulnerate Italiane); 9.187 aree sono classificate a rischio molto
elevato (R4) per frana ai sensi della L. 267/1998.
Buona parte del territorio italiano deve quindi fare i conti con un’evoluzione del paesaggio che comporta il verificarsi di movimenti franosi: ciò avviene in modo naturale o (molto spesso) a causa della scarsa capacità dell’uomo di relazionarsi in modo equilibrato con le dinamiche dell’ambiente.

La valutazione del rischio nelle aree soggette ad instabilità dei versanti si effettua a partire dallo studio dei processi geomorfologici (cioè di modellamento del paesaggio) in atto, ed in particolare della tipologia e dello stato di attività dei fenomeni franosi (per un approfondimento consultare l’articolo "Instabilità dei versanti" in C.I.P. n° 5).

I fenomeni franosi possono essere attivi (cioè in movimento – è importante sottolineare che un frana può muoversi anche molto lentamente, e la sua velocità può cambiare nel tempo, in dipendenza principalmente dalla sua tipologia), quiescenti (cioè potenzialmente riattivabili), inattivi (le cause che li hanno prodotti non sussistono più) o presunti.

La vicinanza di beni danneggiabili a settori di versante interessati da fenomeni franosi rappresenta in prima approssimazione una valutazione qualitativa del rischio per frana, così come rappresentato in fig. 3, dove viene assegnato un rischio elevato in base alla vicinanza di un edificio ad un’area instabile, a prescindere dall’analisi della sua vulnerabilità.  


Fig. 1 – Le 4 classi di rischio definite dalla normativa (D.L. 180 e D.P.C.M. 29 sett. 1998).


Fig. 2 – Civita di Bagnoregio (Vt), frana del settembre 1993 sul versante nord.



Fig. 3 - L’instabilità dei versanti nella zona del paese di Bagnoregio (Vt): la presenza di fenomeni in atto o quiescenti in corrispondenza o in prossimità di beni danneggiabili comporta un rischio da frana più o meno elevato (classificato in quattro gradi di diversa entità) - Autorità di bacino del Fiume Tevere, "Inventario dei fenomeni franosi e situazioni di rischio da frana", tav 141 (stralcio).



Un esempio di valutazione approfondita del rischio per frana si può trovare nello studio dell’ENEA sul paese di Craco (Mt), in cui i diffusi movimenti franosi ne hanno causato il progressivo abbandono (fig. 4, 5). Lo studio delle caratteristiche geologiche e idrogeologiche, delle dinamiche geomorfologiche in atto, dell’uso dei suoli e delle pendenze ha permesso di delimitare molto precisamente delle aree a diverso grado di pericolosità, che, visualizzate sulla stessa carta insieme alle diverse classi di vulnerabilità degli edifici del paese (già in parte danneggiati in varia misura), permettono una stima "visiva" del rischio: esso è maggiore dove gli edifici più vulnerabili si trovano su aree a maggiore pericolosità (fig. 6).



Fig. 4 - Panorama di Craco (Mt), progressivamente abbandonato a causa di ripetute ed estese frane.


Fig. 5 - Evoluzione nel tempo della frana che ha interessato il centro storico di Craco (Mt); in rosso sono tracciate le nicchie di distacco, le frecce indicano l'avanzamento della colata (Enea).


Fig. 6 – Alcune carte occorrenti per la definizione del rischio da frana a Craco (Mt), rappresentato nell’ultima carta in basso; dall’alto in basso: carta geomorfologica (rappresenta le dinamiche in atto sulla superficie, cioè i movimenti franosi e il reticolo idrografico), carta delle condizioni statico-strutturali degli edifici (5 classi), carta della vulnerabilità degli edifici (3 classi).




4. LA MITIGAZIONE DEL RISCHIO

Non esiste un metodo standard per ridurre il rischio, infatti è necessario:
1. esaminare nel dettaglio le caratteristiche dei tre elementi che contribuiscono a formarlo (pericolosità, elementi a rischio e loro vulnerabilità) in una certa area;
2. elaborare la giusta strategia in funzione del rapporto costi-benefici, cioè occorre individuare quali sono gli interventi che danno i maggiori vantaggi con la minore spesa.

Conoscere i rischi e intervenire per ridurli vuol dire operare una
corretta pianificazione del territorio: essa è l’ordinamento spaziale e temporale dello sviluppo mirato al miglioramento delle condizioni di vita, in equilibrio con l’ambiente.

Perchè un EVENTO NATURALE può tradursi in una CALAMITÀ?
1. Perché esso non è prevedibile e si verifica a caso sul territorio?
2. Perché non possiamo fare nulla per ridurre il rischio che comporta?
3. Perché se si verifica non abbiamo altro da fare che rassegnarci a non avere scampo?

La risposta a tutte e tre le domande è NO.

Attraverso lo studio dei dati storici e l’approfondita conoscenza del territorio e delle dinamiche naturali cui è sottoposto, è possibile realizzare una valutazione probabilistica di quali eventi possano colpire una certa area, di che intensità e con che frequenza (PREVISIONE).

Individuato l’evento si può ridurre il rischio cui l’area considerata è sottoposta con interventi adeguati, ad esempio con la costruzione di opere ben studiate (es. sistemazione di un versante in frana, costruzione di una cassa d’espansione per le piene), oppure con il miglioramento degli edifici esistenti (per esempio adeguandoli alle normative antisismiche), oppure (caso limite) spostando in un luogo più sicuro le persone soggette al rischio (
PREVENZIONE).

E’ opportuno per ognuno di noi conoscere i rischi cui è soggetto l’ambiente in cui viviamo e non farsi cogliere impreparati: bisogna quindi imparare come comportarsi quando si verifica una situazione d’emergenza (
CAPACITÀ DI GESTIONE DELL’EMERGENZA).

La corretta pianificazione del territorio si realizza quindi attraverso: PREVISIONE, PREVENZIONE e CAPACITÀ DI GESTIRE L’EMERGENZA.

Per esempio la mitigazione del rischio dovuto a fenomeni franosi può essere realizzata:

  • riducendo la pericolosità, cioè intervenendo sulle cause della franosità (consultare l’articolo "Instabilità dei versanti" in C.I.P. n°5);

  • riducendo gli elementi a rischio (evacuazione delle aree instabili, limitazione dell’uso del territorio);

  • riducendo la vulnerabilità degli elementi a rischio (consolidamento degli edifici; installazione di misure di protezione, quali reti e paramassi, in modo da ridurre la probabilità che l’elemento a rischio possa essere interessato dal fenomeno franoso; uso di sistemi di allarme; organizzazione di piani di emergenza)


 
 
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