Esercitazione del 23 maggio 2010 - Conosco Imparo Prevengo

PSICOLOGIA DELLE EMERGENZE, PROTEZIONE CIVILE, SICUREZZA, TERRITORIO
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Esercitazione del 23 maggio 2010

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C.I.P. n. 11 - ESERCITAZIONI
ESERCITAZIONE DI DOMENICA 23 MAGGIO 2010
Descrizione e riflessioni della giornata formativa

Francesco Rita

Tirocinante Master Universitario di 2° livello in "Psicologia dell’Emergenza e Psicotraumatologia"


Ente organizzatore
Centro Rampi

Destinatari
Volontari Protezione Civile; Psicologi dell’Emergenza.

Dove
Sede Agesci, Case Rosse, Via Tiburtina, Roma. Si può descrivere sommariamente il luogo, come composto da tre strutture principali:
una piccola costruzione in muratura, che sarà, durante l’esercitazione, il Centro di Accoglienza Psicologica;
un capannone, che servirà per i preparativi e per il successivo debriefing;
un grande prato, nel quale si immagina la presenza di una palazzina, luogo in cui si consuma la tragedia.

Attori presenti
Hanno partecipato all’esperienza tre categorie di persone:

  • I volontari di Protezione Civile del Centro Rampi;

  • Gli psicologi dell’emergenza, questi ultimi divisi in:

  • Coordinatori generali dell’esperienza (con funzioni organizzative e di conduzione della riflessione di gruppo);

  • Psicologi dell’emergenza osservatori (con funzione di osservazione del lavoro svolto dagli psicologi);

  • Psicologi dell’emergenza impegnati a fare gli psicologi dell’emergenza (presa in carico delle vittime e dei parenti di queste);

  • Specializzandi in psicologia dell’emergenza (con funzione di attori: vittime e parenti di queste);

  • Un gruppetto di giovani scout (uno faceva la vittima, ed altri agivano come elementi di disturbo).


Gli organizzatori, nel preparare l’esercitazione, hanno pensato a definire differenti ruoli. Ogni ruolo (coordinatore, psicologo, volontario, vittima, parente, giornalista, ecc.) aveva un diverso livello di consapevolezza della situazione. Ossia un accesso all’informazione differente sia per quantità, sia per qualità. Questo ci ha permesso di calarci meglio nella condizione di finzione, vivendo quella dimensione di incertezza tipica di un contesto di emergenza. Ma ha anche comportato che ognuno di noi avesse un’esperienza frammentata della situazione che stava vivendo. Del resto sapevamo che proprio la cornice di simulazione ci avrebbe in seguito assicurato una riflessione supervisionata sull’esperienza, permettendoci quindi di costruire una rappresentazione globale della situazione vissuta.
Tuttavia, devo dire che la seguente è una relazione scritta da un punto di vista specifico, quello di vittima.

L’evento
In una palazzina si produce un’esplosione, causa una fuga di gas. Un gruppo di persone, in riunione di condominio, sente un boato e si ritrova tramortito ad aspettare i primi soccorsi.

L’esercitazione
Vengo contattato via mail, insieme ad alcuni miei colleghi, in quanto tutti partecipanti ad un "Master Universitario di 2° livello in Psicologia dell’Emergenza e Psicotraumatologia" (Consorzio Interuniversitario Fortune – Lumsa – Istituto di Psichiatria e Psicologia UCSC Roma) e tirocinianti al Centro Alfredo Rampi. La nostra tutor-coordinatrice (dott.ssa Devito) ci chiede la disponibilità a partecipare ad un’esercitazione organizzata da PSICAR (Psicologi delle emergenze Alfredo Rampi) e NOAR (Nucleo Operativo Alfredo Rampi).

La mattina di domenica 23 maggio, ci ritroviamo davanti al piazzale degli autobus della Stazione Tiburtina, dove, chi in possesso di macchina avrebbe accompagnato gli altri sul luogo dello scenario. Alle 8.30 stiamo sul posto. Una breve attesa aspettando che arrivino altre persone. Poco a poco giungono alcuni volontari della Protezione Civile ed altri psicologi dell’emergenza. Ci si comincia ad organizzare.

Io ho l’onore di essere una "vera" vittima e, in quanto tale, vengo sottoposto a un make up professionale: due ragazzi, di uno studio di effetti speciali, ci truccano. Ho "perso la vista" e vengo solo un po’ sporcato in faccia. Altri colleghi hanno un orecchio sanguinante, un orribile ferita che corre lungo tutta la coscia, un dito mutilato (in seguito, magnifico particolare di iperrealismo, si presenterà un medico al Centro di Accoglienza Psicologica; ha una busta in mano e dice: "Signora lei è fortunata, abbiamo trovato il suo dito").


LA FASE DEL TRUCCO DELLE VITTIME

Finita la fase di trucco, noi vittime siamo presi in disparte dal dott. Biondo e dalla dott. Di Iorio (coordinatori ed organizzatori dell’esercitazione), insieme alla dott. Devito e alla dott. Mosca, i quali ci istruiscono sul comportamento che dobbiamo seguire.
In pratica ci viene suggerito di scegliere una tra le possibili reazioni che ci mette a disposizione la psicopatologia relativa al trauma e di insistere su quella, cercando di mettere in difficoltà chi si prenderà cura di noi. Ci viene detto che è molto importante assumere coerentemente un atteggiamento emotivo, al fine di indurre, tra gli psicologi, risposte il più possibile simili a quelle che si produrrebbero in situazioni di emergenza reale. Io scelgo una reazione di tipo depressivo, altri preferiscono simulare risposte ansiose, una ragazza, quella "senza dito" si produrrà in una reazione catatonica.


LA PREPARAZIONE DELLE VITTIME

Ci viene comunicata la parola d’ordine. In un contesto di simulazione, essa serve per rendere chiaro, a tutti gli attori presenti in un dato momento, quando si gioca su un piano di realtà e quando invece ci troviamo in un contesto di simulazione. Pronunciare la parola d’ordine significa ritrovarsi immediatamente in una condizione di realtà. Per ogni evenienza.

Arriva il momento, per noi vittime, di recarci sul luogo del disastro. Dietro alcuni cespugli troviamo una scrivania ed alcune sedie buttate per terra, noi ci sistemiamo tra queste come fossero macerie. Ci viene detto di lamentarci ed attendere i soccorsi. Sentiamo urla e gemiti vicini, non capiamo da dove vengono. Mi faccio domande: è un’esercitazione parallela? Perché non siamo stati avvisati della loro presenza? Li rincontrerò dopo? Insomma… di chi sono queste urla? Comincio a sperimentare una sensazione che penso sia implicita per le persone che si ritrovano in una situazione di emergenza (e per le vittime in particolare): la mancanza di informazioni su ciò che sta succedendo e la contingente difficoltà a costruirsi una rappresentazione accettabile della realtà del momento.

È arrivata l’ora della simulazione vera e propria. Io sono vittima e da questo momento agisco come tale e vedo (anzi non vedo, perché dovrei essere cieco) attraverso gli occhi di una persona confusa e disperata. Non mi piacciono i piagnistei, eppure, da adesso, non mi uscirà altro che un fastidioso lamento, che, per il resto dell’esercitazione, non riuscirò a trasformare in una richiesta di aiuto più "razionale". Sono in balia degli eventi e mi scopro immaturo nelle mie reazioni.

 
LO SCENARIO

Dopo circa venti minuti di attesa, arrivano i soccorsi. I volontari della protezioni civile irrompono con le loro divise sullo scenario del disastro. Vengo toccato, mi si parla, mi si chiede qualcosa… io semplicemente piagnucolo che non ci vedo. Chiedo di mia moglie e di mio figlio. Mi si dice di aspettare. Aspetto. Poi qualcuno mi prende a spalla e mi "trasporta" verso il Centro di Accoglienza Psicologica. Sarei dovuto passare prima per il Posto Medico Avanzato, ma la simulazione non lo prevede, quindi lo si immagina soltanto.

Sperimento sulla pelle la dura legge dell’emergenza e il suo particolare paradosso giuridico: il singolo conta poco a favore della collettività e, di conseguenza, alcuni diritti individuali (il diritto di essere libero e di essere informato, per esempio), normalmente considerati fondamentali, per eccezione vengono momentaneamente sospesi.


Dentro al Centro di Accoglienza Psicologica, si svolge tutto il resto della "mia" esercitazione. Ci sono diverse vittime, ognuna con la sua reazione. È un caos. Alcuni elementi sovraeccitati (ricordo una donna fuori di sé che minaccia gli altri con un paio di vecchi forbicioni da sarta) vengono allontanati. Capisco, nella mia cecità, che ci sono degli psicologi. Chiedo aiuto balbettando un paroliccio senza senso. Dopo un po’ sento una mano sul ginocchio e un uomo che mi parla. Non importa quello che dice, importante è il contatto fisico e verbale.


 
IL SUPPORTO PSICOLOGICO ALLE VITTIME

Intanto "vedo" che l’esercitazione ha preso vita. Sento un brulichio di tante situazioni diverse costrette in un’unica cornice. Nel Centro di Prima Accoglienza, dal quale non uscirò se non a fine esercitazione, ci sono diverse persone (numero approssimativo: 15). I pochi psicologi lì dentro (2? 3?) cercano di gestire come possono le vittime presenti. Ma la nostra consegna è stata: "Date filo da torcere agli psicologi".
A complicare la situazione, i familiari delle vittime, che sbraitano contro le inefficienze della macchina dei soccorsi. Da fuori si sentono le urla di altre persone: Dov’è mio figlio? Che fine ha fatto il mio amico? E mia moglie? Ecc.
Dentro la stanza in cui mi trovo si sparge all’improvviso la voce che c’è scappato il morto. La notizia ci attraversa tutti come corrente elettrica. È a quel punto che io mi alzo e mi dirigo verso l’esterno. Voglio uscire, devo sapere chi è morto. Se fosse mio figlio? Mi viene impedito, vengo riaccompagnato alla mia sedia e tranquillizzato come fossi un cretino (questa la sensazione). Per ora posso abbandonare l’idea di essere un adulto autonomo: non vengo trattato come tale. Anzi, effettivamente non lo sono!

Come se non bastasse, arrivano i "disturbatori". Giornalisti, parenti, ragazzini, esagitati. Ognuno con la sua particolare formula per creare disagio. Io percepisco una situazione quasi fuori controllo. Da fuori ormai arrivano solo grida furiose. Noi vittime gustiamo l’opportunità di infierire. Nel caos del Centro di Accoglienza Psicologica, io colgo l’occasione di svalutare lo psicologo presente (in realtà molto bravo) per la sua giovane età. Lui abbozza poche parole imbarazzate. Ed io, completata l’immedesimazione nel mio ruolo, mi godo beffardamente la sua difficoltà.

Finalmente ci comunicano la fine dell’esercitazione. Quanto sarà durata? Sinceramente non lo so, il tempo ha assunto un andamento strano, accorciandosi e dilatandosi secondo i momenti di maggiore o minore azione. Direi circa un paio di ore, forse poco più.

Il dopo
Il dott. Biondo e la dott.ssa Di Iorio, invitano gli psicologi (vittime, parenti di vittime e psicologi  che fanno gli psicologi)  a prendere posto dentro il capannone per riflettere in comune sull’esperienza. Siamo un bel po’ di gente (una trentina di persone). Ognuno cerca di riportare la sua esperienza. Gli obiettivi possono essere così definiti:

  • Ricostruire l’esperienza globale a partire dal punto di vista frammentato di ogni singolo attore;

  • evidenziare i problemi principali che sono venuti a galla;

  • riflettere sui fatti e le sensazioni.

  • Questo è stato un importante momento di confronto. Abbiamo avuto il tempo solamente di iniziare il processo, che verrà concluso in altro momento; tuttavia, dall’analisi della situazione, sono emersi, in modo condiviso, alcuni problemi.


Conclusione
L’esercitazione è stata preparata con estrema cura. Molta dovizia di particolari. Questo è necessario per rendere le simulazioni il più verosimili possibile. Ho vissuto questa esercitazione come un momento importante nella mia formazione di psicologo dell’emergenza, infatti le competenze teoriche acquisite nelle lezioni frontali hanno bisogno di essere accese nel confronto di una pratica sul campo. È vero che io ho coperto il ruolo di vittima e non quello di psicologo, ma questo si è rivelato un punto di osservazione molto interessante, sia per il contatto diretto che ho avuto con gli psicologi, sia per la consegna che avevamo noi vittime di "provocare" gli psicologi. È proprio la possibilità di sperimentare, in un contesto di rappresentazione, le proprie competenze e la possibilità di parlarne successivamente per analizzare il proprio comportamento sotto la guida di persone esperte che dà valore all’esperienza. Si fanno esercitazioni per avere la possibilità di sbagliare in un contesto "benevolo". Ossia in un contesto protetto, dove lo sbaglio non è vissuto come irrimediabile, ma viene a costituire un elemento essenziale dell’esercitazione, un momento su cui soffermarsi e riflettere.
La cosa impressionante è come tutti, psicologi, vittime, parenti, disturbatori, volontari, si siano calati nel loro ruolo. È vero, eravamo legati da un contesto di finzione, ma è altrettanto vero che tutti ci siamo ben presto immedesimati nel nostro ruolo e che abbiamo giocato emozioni vere. Potere dell’immaginazione: era tutto finto, ma, allo stesso tempo, tutto molto reale.


 
 
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