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SCHIANTO AIRBUS A320 GERMANWINGS

Archivio > Aprile2015 > Sicurezza

C.I.P. n. 25 - SICUREZZA
SCHIANTO AIRBUS A320 GERMANWINGS
La sicurezza in volo
di Rita Di Iorio
Psicoterapeuta e psicologa delle emergenze ambientali e civili



Dopo la tragedia dell'Airbus tutti ci siamo interrogati sulle motivazioni che hanno indotto, come sembra in questo caso dalle informazioni ufficiali, il copilota Lubitz a incontrare la morte, immolando con sé tutti i passeggeri dell'aereo e tutti i suoi colleghi.
Quando accade un evento che a prima vista è difficile da accettare emotivamente, cerchiamo di elaborare tutte le opzioni possibili per spiegarlo razionalmente. L'irrazionalità o la follia di un gesto che provoca morte ci spaventa. Ci angoscia il pensiero che ciò possa ripetersi durante un nostro viaggio in aereo. Si mette in discussione l'affidabilità dei piloti e dei mezzi  necessaria  a intraprendere un viaggio, che ci permette di realizzare un'azione per noi innaturale: volare. Per questo dobbiamo trovare una spiegazione al gesto: per rassicurarci, per convincerci che possa essere considerato un gesto isolato. Come di fatto è nella realtà.
Cercare di ipotizzare le motivazioni che hanno spinto Lubitz a un atto simile è difficile.  Senza un incontro clinico, un approfondimento all'interno della relazione terapeuta-paziente - capace di  vagliare le miriadi di variabili personali in gioco – risulta problematico avanzare considerazioni di tipo diagnostico su questo suicidio/omicidio. Due gesti che spesso vanno a braccetto (a tal riguardo, la cronaca ci presenta tanti casi similari). In questo caso ciò che sorprende è il numero delle vittime coinvolte e la platealità del gesto, che forse mettono in risalto un aspetto onnipotente e narcisista del suo esecutore, come sottolineano i colleghi Di Nunzio e Tano. Il suicidio, in termini psicoanalitici, ha sempre richiamato la tesi secondo la quale una forte aggressività che il soggetto vorrebbe volgere versi gli oggetti esterni (spesso oggetti d'amore) viene rivolta verso se stessi. A volte il suicida esprime ambedue le violenze, verso se stesso e verso gli altri. Ma cosa possa aver spinto Lubitz a mettere in atto tale gesto -  e specialmente cosa possa aver pensato consciamente e inconsciamente negli ultimi minuti della sua vita - resterà sempre un mistero.
Io mi soffermerei un po’ di più, invece, sul come possa essere stato possibile ad un pilota con disturbi psicologici dichiarati da tempo, a conoscenza di medici e della stessa compagnia di appartenenza, di tornare al lavoro e pilotare un air bus con 149 passeggeri a bordo.
Non per chiarire come sia stato possibile nel caso specifico, perché solo un'inchiesta interna alla compagnia aerea potrà appurarlo. Vorrei solo segnalare quanto scarsa sia stata la catena di comunicazione sui controlli e sull'idoneità psicologica di un lavoratore. Un lavoratore che è stato addestrato per un compito di responsabilità enorme. Un lavoratore a cui vengono richieste competenze ed equilibrio psicofisico di alto livello, che è stato lasciato solo nel gestire il proprio disagio. Un lavoratore che non è stato fermato dai medici, i quali non hanno ritenuto importante segnalare la pericolosità del soggetto al quale era stata affidata una responsabilità così enorme, anche perché non inseriti, almeno così è sembrato, all'interno del sistema sanitario interno alla compagnia.  
La Sicurezza in volo dei passeggeri chiamerebbe la compagnia aerea alla responsabilità di realizzare un sistema di controllo della salute psicofisica adeguato, svolto da esperti psicodiagnosti, e di controlli fisici da parte di medici specialisti. Il tutto sotto la regia di un unico referente in grado di ricevere e dare un senso unitario ai vari referti diagnostici dei diversi professionisti, per poi inviare una diagnosi finale all'ufficio personale della compagnia.
Generalmente, invece,  i controlli sui piloti effettuati da medici o psichiatri vertono  sulla produzione di una valutazione diagnostico-descrittiva, con l'utilizzazione di test psicometrici. Senza un'esplorazione approfondita da parte di psicodiagnosti, capaci d'individuare eventuali aspetti psicopatologici della personalità del pilota, e senza un coordinamento fra i diversi diagnosti (dell'area psichica e dell'area somatica), è più facile che possano sfuggire casi con reali disturbi mentali, come quello in oggetto.
Quello che mi preme sottolineare ulteriormente è come la cultura della sicurezza sia insufficiente ancora oggi, nel 2015. Quando le aziende devono tagliare i costi, generalmente tagliano sul personale (con inevitabile aumento dello stress da lavoro e del burn-out di chi resta), sulle soste di riposo e sui controlli sanitari (con una netta diminuzione del benessere dei piloti e del personale di volo), sui controlli tecnici ai mezzi (con un inevitabile calo della  qualità e sicurezza del servizio).
Una domanda sorge spontanea: in Italia funziona allo stesso modo? come e quando avvengono i controlli psicologici dei responsabili di volo?
Questa preoccupazione  ridurrà o meno la nostra disponibilità a fare spostamenti in aereo?
Speriamo di poter avere dati certi per poter rispondere a queste domande.
Probabilmente l'ansia e la paura di prendere un aereo, specialmente nei soggetti che già sono predisposti alla paura di volare, aumenterà, soprattutto se teniamo conto anche del momento storico che stiamo vivendo, caratterizzato dal dilagare della paura/terrore di un attacco terroristico.
Mi sento di poter rilevare che il viaggio aereo sicuramente resta il più sicuro rispetto al viaggio in macchina e forse anche ferroviario. Di certo, almeno per me, resta  la modalità di viaggio più bella ed emozionante per viaggiare, forse anche per il pizzico di ansia e paura che sollecita.


Due ipotesi per cercare il movente del gesto distruttivo del copilota tedesco

Michele Di Nunzio, psichiatra e criminologo.


Michele Di Nunzio

"Come ormai sappiamo - spiega lo psichiatra Michele Di Nunzio - la scatola nera ha confermato le intenzioni del copilota: Lubtiz architettò la sua azione, aspettando di cogliere una coincidenza, vale a dire il momento in cui il collega sarebbe uscito dalla cabina di pilotaggio, per potersi chiudere dentro da solo e dunque andare fino in fondo all'atto suicidario clamoroso da lui infine attuato.  Si è detto che in passato si fosse sottoposto a cure psichiatriche, forse anche per tendenze suicide, e che comunque aveva sofferto in maniera grave di depressione, superata la quale aveva evidentemente potuto riprendere il suo lavoro. Ma il passaggio da una condizione depressiva, anche se grave, ad un suicidio vero e proprio richiede una "spinta", una motivazione in più di straordinaria incisività nella determinazione della persona: per questo ritengo che ci sia stata anche una causa di tipo esistenziale ad indurlo nella decisione finale. Invece, per quanto riguarda l’aver deciso di coinvolgere nel suo suicidio altre 149 persone, la depressione non c’entra molto: la clamorosa modalità attuativa dipende piuttosto da un disturbo profondo della personalità, riconducibile al cosiddetto "narcisismo maligno" che di solito caratterizza i soggetti antisociali.  La spettacolarizzazione della propria morte è un tema per fortuna raro, ma con il quale sarà sempre più frequente doversi confrontare, anche per l’incisività dei mass media nell’immaginario collettivo. E, purtroppo, tutto ciò che penetra nell’immaginario collettivo può infine arrivare a condizionare le menti più facilmente suggestionabili".


Mark Tano Palermo, neurologo e professore al Medical College of Wisconsin di Milwaukee.


Mark Tano Palermo

“Di Nunzio parla di Narcisismo Maligno. Concordo con questa probabilità, anche se è impossibile stabilirne la veridicità in assenza del soggetto. E in fondo siamo tutti narcisisti. Lubitz di fatto non corrisponde al classico caso di omicidio-suicidio, indipendentemente dal numero delle vittime, che, inoltre, diversamente dal solito, lui non conosceva. O forse si. Forse erano per lui "passeggeri", e quindi a lui ben conosciuti come categoria. Ma non aveva con loro un rapporto personale, come tipicamente accade nelle situazioni di omicidio-suicidio. Indubbiamente la evidente premeditazione, almeno da quanto ci è dato capire dai media, è più tipica di un atteggiamento paranoicale, ferito, offeso e leso nel senso più profondo del termine. Un uomo apparentemente non giudicato idoneo al volo. Il volo era il suo sogno. Probabilmente la sua certezza e la sua immagine pubblica oltre che privata. Era come negare la sua stessa essenza. La vergogna è una delle fonti più comuni di rabbia espressa. La vergogna è un elemento sufficiente, in certe culture più "coerenti" della nostra, per porre termine alla propria vita. La vergogna può anche essere medicalizzata e quindi spiegata. Ma per il soggetto è tangibile, perché vi si specchia ogni mattino. Difficile resistere. Più facile esplodere contro la fonte della vergogna. I passeggeri? Non so. Più probabilmente "la Compagnia", ossia il mondo dell'aviazione che lo ha giudicato "non idoneo". Ed è qui l'elemento più preoccupante. La rabbia ed il calcolo. La vendetta. O forse Lubitz semplicemente, come spesso accade in situazioni analoghe, si sovrastimava. Come spesso accade nel narcisismo patologico, che va a braccetto con la personalità paranoicale, era meno "in gamba" di quanto lui non pensasse. E i suoi pari, anche alla luce delle sue responsabilità professionali, non potevano non dirglielo. E lui non ha retto, nuovamente, alla vergogna”.  


 
 
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