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Onno Van Der Hart e la Dissociazione Strutturale della Personalità come conseguenza del trauma psichico

Archivio > Agosto 2013 > Psicologia delle emergenze

C.I.P. n. 20 - PSICOLOGIA DELLE EMERGENZE


ONNO VAN DER HART E LA DISSOCIAZIONE STRUTTURALE DELLA PERSONALITA’ COME CONSEGUENZA DEL TRAUMA PSICHICO. ANALISI DI UN CASO CLINICO
Gianluca Foschi
Psicologo Clinico e dell’Educazione, Psicoterapeuta in formazione, Psicologo delle Emergenze, Socio PSICAR

In questo articolo si intende presentare, brevemente, una teoria recente sulla concettualizzazione teorica di trauma e sul suo trattamento. La teoria della Dissociazione Strutturale della Personalità, di Onno Van Der Hart, uno studioso Olandese da anni nel campo della ricerca psicotraumatologica. Insegna Psicologia dei traumi cronici  presso il dipartimento di Psicologia Clinica dell’Università di Utrecht, in Olanda. È psicologo e psicoterapeuta presso il Sinai Center for Mental Healt di Amsterdam e Past President dell’International Society for Traumatic Stress Studies (ISTSS).
Lui insieme ai suoi collaboratori e ricercatori, ha coniato il termine di Dissociazione Strutturale della Personalità, integrandola con gli studi della Psicologia dell’Azione di Janet. Quello che ne scaturisce è un modello teorico improntato all’azione per la cura e il trattamento della traumatizzazione cronica, utile anche per i soggetti coinvolti in eventi traumatici singoli e quindi non complessi. Hanno sviluppato un modello di trattamento Phase-oriented (con fasi graduali), che si focalizza sull’identificazione e sul trattamento della dissociazione strutturale e delle azioni mentali e comportamentali di tipo disadattivo a essa correlate. L’obiettivo terapeutico complessivo  è quello di aumentare le capacità integrative dei soggetti traumatizzati, che loro definiscono "livello mentale", cioè il miglior livello di tendenze all’azione che un individuo può raggiungere in un dato momento.




La dissociazione strutturale

Per comprendere la natura del trauma non si può  prescindere dalla dissociazione. Nell’ambito della psicologia dinamica statunitense ed olandese, il concetto di dissociazione non viene utilizzato semplicemente per indicare i sintomi classificati nel DSM - IV - TR ma, in modo più ampio, per riferirsi ai processi mentali che contribuiscono ad articolare la struttura della soggettività nelle sue uniche e assolutamente individuali modalità di costruzione del significato dell’esperienza personale. La dissociazione è quindi un processo psichico adattivo che permette l’esperienza dell’autenticità grazie all’immersione profonda in particolari stati del sé temporaneamente isolati dalle associazioni con le molteplici altre possibili esperienze di sé. Come difesa la dissociazione diviene patologica nella misura in cui essa limita proattivamente e spesso preclude, la capacità di contenere e riflettere sui differenti stati della mente all’interno di un’esperienza unitaria di "sentirmi me stesso", o me-ness (Bromberg, 2007, 10). Paradossalmente quindi, ciò che vuole fare la dissociazione è mantenere un senso di continuità, coerenza e integrità della persona traumatizzata, in modo da evitare la dissoluzione traumatica. Questo perché, come sottolineano anche Van Der Hart e collaboratori,  le parti dissociate sono comunque spicchi di un'unica personalità, la differenza di gravità nella dissocazione è data dal grado di complessità e di emancipazione delle parti della personalità (Van Der Hart et al. 2011, 36). Van Der Hart, influenzato anche dagli studi di Charles Samuel Myers sui reduci della Prima Guerra Mondiale, teorizzò che in persone traumatizzate c’era l’esistenza e l’alternanza di parti della personalità, una parte venne chiamata Apparently Normal Personality (ANP) e cioè Personalità Apparentemente Normale, un altra Emotional Personality (EP) e cioè Personalità Emotiva. I sopravvissuti con ANP, sono fissati nel cercare di portare avanti una vita normale, sono cioè guidati da sistemi d’azione finalizzati alla vita quotidiana (per esempio esplorazione, accudimento, attaccamento) e nel contempo evitano le memorie traumatiche. Come EP, sono fissati in sistemi d’azione  (per esempio difesa, sessualità) o sottosistemi (per esempio, ipervigilanza, attacco, fuga) che erano attivati al tempo della traumatizzazione. Questa divisione all’interno della personalità tra ANP ed EP è molto importante per i differenti gradi di dissociazione strutturale; sono proprio il loro uso e la loro integrazione, (i vari sistemi d’azione messi in atto), che determinano le differenze tra dissociazione strutturale primaria, secondaria e terziaria della personalità.

I tre gradi di dissociazione strutturale


La Dissociazione Strutturale Primaria della Personalità, è la forma più semplice della dissociazione, che può avvenire all’interno di un individuo traumatizzato. Prevede una singola parte apparentemente normale ANP e una singola parte emozionale EP. L’autore associa questo tipo di dissociazione alle traumatizzazioni singole, quelle cioè, avvenute una sola volta nella vita, come potrebbe essere un terremoto, e viene anche associato al Disturbo da Stress Post-Traumatico semplice descritto nel DSM-IV.
Nella dissociazione secondaria della personalità, siamo in presenza di un ampio spettro di complessità. La forma più semplice di questa prevede due EP, di solito una vive l’esperienza e l’altra l’osserva, mentre l’ANP raggruppa tutto il funzionamento nella vita quotidiana della personalità. Si possono anche raggiungere forme in cui siano presenti più di due EP, in relazione tra loro, soprattutto quando il trauma proviene dall’infanzia ed è stato perpetrato per tutto l’arco della crescita infantile. In sintesi si può dire che la dissociazione strutturale della personalità secondaria prevede una ANP e due o più EP in relazione tra loro. In questo caso, il compito di svolgere la vita quotidiana di ANP risulta molto difficile, poiché, l’efficienza mentale che nella forma primaria era abbastanza alta, ora deve tenere a bada e cercare di non farsi invadere da più EP.
Ben più complesso è il discorso per l’ultimo livello di dissociazione teorizzato dall’autore olandese. La dissociazione terziaria è il livello più grave di dissociazione della personalità ed è tipica di molti casi di Disturbo Dissociativo dell’Identità (DID). Quest’ultimo tipo, coinvolge più di una parte emozionale della personalità, EP, insieme a più parti apparentemente normali, ANP. In questi casi, quindi, i sistemi d’azione della vita quotidiana, come l’esplorazione, l’attaccamento, l’accudimento e la sessualità, sono divise tra varie ANP.


Le fasi del trattamento clinico per la dissociazione strutturale

Dopo aver presentato molto sinteticamente i lineamenti teorici generali,  verranno esposte  le fasi del trattamento proposte dall’autore per la cura ed il trattamento della dissociazione a seguito di eventi traumatici cronici. Naturalmente l’intervento, non sarà standardizzato e uguale per ogni grado dissociativo: mentre per la dissociazione strutturale primaria della personalità è di solito sufficiente l’applicazione immediata di approcci validati empiricamente, come, ad esempio, l’esposizione prolungata, i diversi approcci cognitivo-comportamentali e l’EMDR. Nel caso delle dissociazioni secondarie e terziarie, dove le memorie, i vissuti e le esperienze da re-integrare sono molte ed è molto complessa l’interazione fra loro, servirà un modello operativo differente, a più step, chiamato dagli autori "Phase oriented".
Dopo aver svolto la valutazione del paziente, dove si individuano le modalità comportamentali, il grado di dissociazione, le manifestazioni dissociative e dove si incominciano ad individuare le possibili modalità di cura, si può passare al trattamento terapeutico "phase oriented". Ogni fase prevede un approccio mirato alla soluzione di problemi e alla creazione di competenze, all’interno del più ampio contesto di un approccio relazionale. Solitamente si instaura un andamento a spirale: si individuano le problematiche, si fanno capire al paziente e con lui si inizia il cammino terapeutico, si parte cioè, dalla problematica in generale, sino ad arrivare al problema specifico del paziente. Si cerca di far raggiungere migliori livelli di efficienza mentale, ciò permette di integrare materiale dissociativo in precedenza intollerabile e di affrontare aree disfunzionali più radicate (Van Der Hart et al. 2011, 24).

Sinteticamente, le tre fasi del modello analizzano in maniera sempre più profonda le varie fobie traumatiche, verso una sempre maggiore integrazione delle EP e un elevamento della energia e dell’efficienza mentale. Le tre fasi, sono:
fase 1: stabilizzazione e riduzione dei sintomi;
fase 2: cura delle memorie traumatiche;
fase 3: integrazione della personalità e riabilitazione.

L’apice di un trattamento terapeutico riuscito, secondo gli autori, risiede nella possibilità, da parte del cliente, di raggiungere l’intimità. Questo è un concetto molto ampio, che racchiude in se una serie di concetti e ambiti anche molto differenti tra loro. L’intimità migliore è quella che include non solo l’attaccamento ma anche la possibilità di essere aperti e curiosi di conoscere l’altro, giocosi, socievoli con persone al di fuori delle relazioni intime, capaci di prendersi cura del proprio corpo e delle proprie emozioni e degli altri, in modo sano. Essere intimi significa stare in relazione con tutto il proprio sé (Van Der Hart et al. 2011, 362).



Caso clinco


Alle luce della teoria esposta in precedenza si interpreterà un caso clinico di un ragazzo coinvolto nel terremoto de L’Aquila del 6 aprile 2009.
Il soggetto di cui si è analizzata la cartella clinica, messa a disposizione dalla famiglia, è un ragazzo di 18 anni, che per il rispetto della privacy verrà chiamato Andrea, all’epoca dell’evento critico, il terremoto de L’Aquila del 6 aprile 2009, aveva 15 anni compiuti. Prima del sisma era residente al centro de L’Aquila con la madre (Antonietta), il padre (Luciano), ed il fratello più piccolo di un anno (Marco), (tutti i nomi sono di fantasia). Marco, il fratello più piccolo, nel 2008 a 13 anni, attraverso i genitori, richiede una consulenza al centro di Neuropsichiatria Infantile a direzione universitaria dell’Ospedale Civile San Salvatore de L’Aquila, gli viene diagnosticato un Disturbo Autistico con presenza di un ritardo mentale moderato, con un livello di Q.I  pari a 44. Questa notizia, a detta della madre, sconvolge il nucleo familiare; Andrea comincia ad evitare il fratello minore e a vergognarsi di lui, non vuole rimanere solo in casa con Marco, non vuole che esca con lui e la madre. Durante il colloquio svolto mi comunica che ai nuovi amici e alle ragazze che conosceva diceva di essere figlio unico.
Andrea oggi, viene descritto dalla madre come un ragazzo taciturno, non vuole molte amicizie che giudica inutili, ha relazioni sociali molto ristrette e passa buona parte della sua giornata al computer. Prima dell’evento sismico il ragazzo non era così, secondo ciò che dice la madre, era allegro e spensierato, attaccatissimo al padre, amante dei videogiochi e delle camminate all’area aperta. L’evento che cambia la vita di Andrea è il terremoto, a seguito di questo, il nonno paterno muore, nonno al quale il soggetto era molto legato. Le parole della madre a questo proposito sono "la famiglia non c’era più, eravamo solo fumo nell’aria come le macerie" , cosa ancora più grave e devastante per Andrea è stato il suicidio del padre sotto ai suoi occhi, a distanza di 3 mesi dalla morte del nonno. Da quel momento il ragazzo non ha più parlato e la madre chiede aiuto agli psicologi presenti nel campo allestito dalla Protezione Civile presso Civitatomassa a seguito del terremoto, che lo indirizzano verso il campo dove è presente il presidio mobile ospedaliero de L’Aquila con le funzionalità di servizi psichiatrici, i quali gli diagnosticano un Disturbo Depressivo maggiore con la presenza di pensieri suicidari  e un Disturbo da Stress Post-traumatico. Andrea in un primo momento rifiuta l’aiuto degli psicologi e non prende i farmaci prescritti dallo psichiatra; la situazione si aggrava ulteriormente, il soggetto rimane chiuso nella roulotte dove abita, poiché ha perso la casa a seguito del terremoto, per buona parte della giornata, non mangia e non parla con nessuno. La madre chiede nuovamente aiuto agli psicologi dell’emergenza presenti nel campo di Civitatomassa, che riescono, dopo alcune settimane, ad instaurare una relazione con il ragazzo, ottenendo, con pazienza, che il ragazzo uscisse dal caravan, prima per pochi passi intorno al campo, poi al centro commerciale de L’Aquila. Riescono gradualmente a convincere Andrea ad intraprendere un cammino terapeutico, sostenuto dalla somministrazione di psicofarmaci. Tutt’oggi il soggetto continua il suo trattamento psicoterapeutico, si dice più tranquillo rispetto a 3 anni fa, anche se continua a volte a sognare il papà che lo abbraccia e alcune volte ha la sensazione vivida della terra che si muove sotto i suoi piedi, continua ad avere paura dei rumori forti che associa a scosse di terremoto e non è più tornato al centro de L’Aquila, anche se dice che lo farà forse entro l’anno, attualmente soffre di attacchi di panico, in luoghi molto affollati e dove non ci sono vie di uscita vicine.
Partendo dal concetto di dissociazione strutturale della personalità, è possibile ipotizzare che Andrea presenti una Dissociazione strutturale primaria della personalità, conseguente ai tre traumi avuti di seguito all’età di 15 anni: evento calamitoso del terremoto, la morte del nonno e il suicidio del padre; questi tre eventi sono stati rinchiusi in una  EP che molte volte invadeva e tutt’ora invade l’ANP del soggetto nella sua vita quotidiana. Ad esempio, quando Andrea sente un rumore forte, l’EP invade l’ANP associando un rumore neutro a quello esperito durante il terremoto, provocando forti stati d’ansia e a volte attacchi di panico. Si può quindi dire che il soggetto ha una EP fissata a sottosistemi difensivi che vengono recuperati in casi di forte stato d’ansia associati all’evento traumatico del terremoto, sperimentando il passato come presente, l’ANP invasa dall’EP reagisce come se l’evento fosse ancora presente. Al fine di tracciare un possibile piano di trattamento, bisognerebbe partire dalla valutazione del paziente.
Dopo un attenta valutazione si può passare al trattamento terapeutico vero e proprio, mettendo in pratica il modello phase-oriented di Van Der Hart. Nella prima fase bisognerebbe affrontare il delicato compito di instaurare una fiducia di base nei confronti del terapeuta; Dopo aver guadagnato la fiducia di Andrea, si potrebbe continuare con un’analisi delle azioni mentali derivate dal trauma, attraverso la focalizzazioni sulle sensazioni fisiche. Il ragazzo racconta di sentire muoversi la terra sotto i suoi piedi, aumentando in questo modo il suo stato ansioso; è possibile portare l’attenzione del paziente sull’esperienza fisica nel momento presente notando in quale parte del corpo c’è una maggiore attivazione e dove invece un inibizione, potendo così riconoscere le sensazioni e normalizzarle, sintetizzandole nella sua ANP. Dopo aver conquistato fiducia dal paziente, aver cominciato ad analizzare le azioni mentali che sono derivate dal trauma, si potrebbe passare alla delicata seconda fase del trattamento, dove si affronteranno gradualmente i ricordi traumatici di Andrea legati al terremoto, alla morte del nonno e al suicidio del padre, si potrebbe ipotizzare una durata molto lunga di questa fase, poiché si dovrebbe affrontare un ricordo per volta cercando di superare le possibili resistenze del paziente. Dopo questa fase del trattamento si potrebbe giungere al terzo e ultimo step, dove si accompagnerebbe Andrea al ritorno ad una vita normale con la reintegrazione delle parti dissociate in EP giungendo sino al momento di cessare la relazione terapeutica. Solamente quando il ragazzo sarà riuscito ad acquisire un senso interno di coesione e di interezza, sarà in grado di prendere in mano il presente e di pianificare il futuro.



Conclusione
Con questo articolo ho voluto brevemente presentare e descrivere una concettualizzazione teorica recente che spiega, descrive e cura possibili traumi psichici degli essere umani. Questo non vuole essere un punto di arrivo per la conoscenza della teoria presentata, ma bensì di partenza. La stessa teoria presa in esame è in continuo sviluppo e il modello di trattamento in attesa di una validazione controllata.
Ogni esperienza traumatica porta in sé un cambiamento, l’individuo nel bene o nel male non sarà più quello di prima, la differenza viene fatta da come si affronta tale situazione, se si è preparati a fronteggiarla o se si viene investiti da forze sconosciute e più forti dell’individuo. Ogni esperienza porta in sé un’ambivalenza, se si riesce a individuare ciò che può favorire una crescita personale, l’essere umano sarà pronto a fronteggiare qualsiasi esperienza, incontrando pochi limiti allo sviluppo individuale. Per questo vorrei concludere con le parole di Viktor Frankl che nel suo libro "Uno psicologo nei lager" scrive:  "In un modo o nell’altro, viene il giorno in cui ogni ex internato, ripensando alle esperienze del lager, prova una strana sensazione. Egli stesso non comprende come ha potuto superare tutto ciò che la vita del Lager ha preteso da lui. E se vi fu nella sua vita un giorno, il giorno della liberazione, nel quale tutto gli apparve come un bel sogno, certamente arriva anche il giorno in cui tutto ciò che ha vissuto nel Lager gli appare come un brutto sogno. Quest’esperienza dell’uomo tornato a casa, sarà coronata dalla splendida sensazione che, dopo quanto ha sofferto, non deve temere più nulla al mondo, tranne il suo Dio" (Frankl, 2009, 152).


Bibliografia

Bromberg, P.M. (2007). Clinica del trauma e della dissociazione. Standing in the spaces. Milano: Cortina

Frankl, V. E. (2009). Uno psicologo nei lager. Milano: Ares.

Nijenhuis, E.R.S. (2007). La dissociazione somatoforme. Elementi teorico-clinici e strumenti di misurazione. Roma: Astrolabio.


Van der Hart, O. – E. Nijenhuis – K. Steele.  (2011). Fantasmi nel sè. Trauma e trattamento della dissociazione strutturale. Milano: Cortina.





 
 
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