Fenomeni di instabilità in corrispondenza di paleo frane: un esempio a Civitella D’Agliano (Viterbo) - Conosco Imparo Prevengo

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Fenomeni di instabilità in corrispondenza di paleo frane: un esempio a Civitella D’Agliano (Viterbo)

Archivio > Aprile 2013 > Territorio

C.I.P. n. 19 - TERRITORIO

FEMONENI DI INSTABILITÀ IN CORRISPONDENZA DI PALEOFRANE: UN ESEMPIO A CIVITELLA D’AGLIANO (VITERBO).
Giovanni Maria Di Buduo
Geologo

In un passato geologico molto prossimo il territorio italiano è stato soggetto ad una rapida ed intensa evoluzione geomorfologica, innescatasi principalmente nel corso dell’ultimo acme glaciale avvenuto all’incirca 18-20 mila anni fa.
Durante un periodo glaciale infatti (l’ultimo è durato all’incirca da 110 mila a 10 mila anni fa) agli oceani torna meno acqua, che viene in parte trattenuta sui continenti sotto forma di ghiaccio (espansione dei ghiacciai), con il conseguente abbassamento del livello del mare (anche di oltre 100 metri)  e aumento della capacità erosiva dei corsi d’acqua, che scavano profondamente le proprie valli.
Oltre alle frane attive il territorio italiano è quindi costellato da un numero mai stimato di paleofrane, cioè di frane avvenute molte centinaia o qualche migliaio di anni fa, di cui non vi è documentazione storica, a volte ancora molto evidenti nel paesaggio, più spesso quasi invisibili se non ad occhi esperti.
Le paleofrane presentano una sconfinata gamma di condizioni: possono essere del tutto inattive, con i corpi di accumulo stabili e ormai quasi interamente smantellati dall’erosione, oppure, come si vedrà nel presente articolo, possono presentare fenomeni di instabilità localizzati e poco evidenti, ma con cui è necessario confrontarsi correttamente per una oculata gestione del territorio.
Altre volte una paleofrana può riattivarsi, in parte o del tutto: l’esempio più drammatico di riattivazione di una paleofrana è quella avvenuta a monte della diga del Vajont nel 1963 ("Vajont. Le cause della frana del Monte Toc del 9 ottobre 1963", CIP n. 3, 2007).

La paleofrana in esame (verosimilmente uno scorrimento rotazionale) è ubicata nel Comune di Civitella d’Agliano (VT) in località "Villa  Venturini", con coronamento posto a quota 135 m, sul versante destro della valle del F. Tevere, all’altezza della parte meridionale del Lago di Alviano.
La geologia di superficie dell'area è caratterizzata da depositi continentali del Pleistocene Medio costituiti da tufi di origine ignimbritica riferibili alla facies distale della sub-unità E5 della formazione di Sutri del Complesso Vulcanico "Vico" (Pleistocene Superiore; Bear et al., 2009), da alluvioni del III ordine di terrazzi del Fiume Tevere (Pleistocene Superiore) e da depositi marini argillosi (Pleistocene Inferiore) riferibili alla formazione del Chiani-Tevere (unità delle "argille sabbiose"; Mancini et al., 2003-2004).
Il Complesso Vulcanico "Vico" è costituito da uno strato-vulcano con una caldera centrale (bacino del Lago di Vico) all’interno del quale si è sviluppato il cono secondario di Monte Venere; l’attività vulcanica si è svolta all’incirca tra 419 mila e 95 mila anni fa ed è iniziata contemporaneamente al termine di quella del Complesso Cimino, situato in posizione limitrofa a nord (Bear et al., 2009; Perini et al., 1997; Bertagnini & Sbrana, 1986; Mattias & Ventriglia, 1970).


Fig. 1 – Schema geologico dell’area di Villa Venturini (Civitella d’Agliano, Viterbo), scala 1:10.000.



I tufi presenti nell’area in esame derivano da un flusso piroclastico (noto anche come colata piroclastica o nube ardente) che è un particolare tipo di eruzione consistente in un flusso di particelle e gas vulcanici che formano una nube molto densa e molto calda (qualche centinaio di gradi centigradi) che scende rapidamente (anche a 300 km/h) lungo i fianchi del vulcano, tendendo ad incanalarsi nelle depressioni (cioè nelle valli). Il processo è lo stesso che ha investito Pompei nel 79.
Il flusso piroclastico che ha deposto la sub-unità E5 della formazione di Sutri è stato emesso circa 151 mila anni fa (Laurenzi e Villa, 1987) dal vulcano Vico, situato quasi 30 km a sud-sud-ovest; nell’area in esame il flusso ha invaso l’antica valle del Tevere (che si trovava circa 60 metri sopra la piana attuale) riempendola per qualche metro col proprio deposito, che ha formato una vasta zona piatta intensamente erosa nel corso dei millenni.
Di questa zona restano alcuni lembi caratterizzati da una morfologia sub-pianeggiante e da una notevole stabilità geomorfologica, ad una certa distanza dagli orli di scarpata.
La parte alta del versante infatti, sia in corrispondenza del coronamento della paleofrana, che nelle zone adiacenti, è soggetta ad instabilità consistente nella fratturazione diffusa del tufo litoide di origine ignimbritica. La nicchia della paleofrana, e in maniera molto limitata il corpo relitto di frana, sono soggetti localmente a soliflusso, che interessa la coltre superficiale derivante dall’alterazione dei litotipi sub-affioranti.
Le discontinuità nei tufi sono dovute in prevalenza a giunti da raffreddamento e a fratture estensionali causate da processi di scarico tensionale; le fratture sono variamente inclinate rispetto al versante e poco visibili a causa della presenza di vegetazione. L’infiltrazione dell’acqua contribuisce lentamente ma inesorabilmente all’alterazione chimico-fisica delle superfici e al propagarsi delle fratture, con conseguente riduzione della resistenza a taglio, e possibile innesco di movimenti franosi di crollo e ribaltamento.



Fig. 2 – Panoramica del corpo di paleofrana intensamente rimodellato dall’erosione, su cui è stato realizzato un vigneto.


Fig. 3 – Alberi inclinati in prossimità del coronamento della paleofrana.


Fig. 4 – Lesione ad un fabbricato in prossimità del coronamento della paleofrana, imputabile verosimilmente alle fratture estensionali nel tufo.



Il soliflusso avviene in genere su terreni poco consistenti saturi d’acqua e si distingue dalle colate per la sua lentezza e perché il terreno in movimento mantiene la sua consistenza, pur manifestando la presenza di forme superficiali diversificate, ma riconducibili nella maggior parte dei casi a lobi detritici e a piccoli terrazzamenti. Il movimento avviene per lo più lungo superfici di nuova formazione corrispondenti alla profondità raggiunta dall'imbibizione; talora può prodursi lungo più superfici planari all’incirca parallele rispetto al pendio, cioè con superfici di scorrimento plurime e con velocità via via decrescenti verso le parti più profonde.
Il soliflusso è un processo lento (la velocità varia da qualche millimetro a qualche decimetro l’anno), generalmente avviene su vaste porzioni di versante, e può determinare situazioni di pericolosità geomorfologica, ostacolando lo sviluppo della vegetazione (che costituisce un’efficace mezzo di difesa dall'erosione del suolo) e creando danni ai manufatti e alle infrastrutture con le deformazioni del terreno.
Il soliflusso può subire a luoghi delle accelerazioni per cause naturali (per esempio: piogge abbondanti, acque sorgive non adeguatamente incanalate, ecc.) e/o antropiche (disboscamenti,  scavi incontrollati, aumento dei sollecitazioni di taglio con strutture non adeguate, ecc.) evolvendo in altri tipi di movimenti (es. scorrimento rotazionale o traslativo).



RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

BEAR A.N., CAS R.A.F., GIORDANO G. (2009) – Variations in eruptive style and depositional processes associated with explosive, phonolitic composition, caldera-forming eruptions: the 151 ka Sutri eruption, Vico Caldera, central Italy.
Journal of Volcanology and Geothermal Research, 184, 3–4, pag. 225–255.

BERTAGNINI A., SBRANA A. (1986) - Il vulcano di Vico: stratigrafia del complesso vulcanico e sequenze eruttive delle formazioni piroclastiche.
Memorie Società Geologica Italiana, 35, pag. 699-713.

LAURENZI M.A., VILLA I.M. (1987) - 40Ar/39 Ar chronostratigraphy of Vico ignimbrites. Periodico di mineralogia, 56, 02-03, pag. 285-293.

MATTIAS P. P., VENTRIGLIA U. (1970) - La regione vulcanica dei Monti Sabatini e Cimini.
Memorie della Società Geologica Italiana, 9, pag. 331-384.

MANCINI M., GIROTTI O., CAVINATO G.P. (2003-2004) - Il Pliocene e il Quaternario della Media Valle del Tevere (Appennino centrale).
Geologica Romana, 37, pag. 175-236.

PERINI G., CONTICELLI S., FRANCALANCI L. (1997) - Inferences on the volcanic history of the Vico volcano, Roman magmatic province, central Italy: stratigraphic, petrographic and geochemical data.
Mineralogica et petrographica acta, 40, pag. 67 - 93.



 
 
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